Studi di settore: tartassata un’impresa su tre

Sono un milione e 200mila le partite Iva che potrebbero avere problemi col fisco sulla dichiarazione 2008: praticamente una su tre. L’allarme arriva dalla Cgia di Mestre. Per l’associazione degli artigiani e delle piccole imprese, sul banco degli imputati ci sono gli Studi di settore, lo strumento introdotto nel 1993 (e oggetto di numerose riforme) che serve al fisco per rilevare i parametri minimi di reddito di liberi professionisti, lavoratori autonomi e imprese.
Su circa 3 milioni e 700mila partite Iva interessate dagli studi di Studi di settore, spiega una nota della Cgia di Mestre, un terzo non risultano essere in linea con le pretese del fisco. La percentuale è in aumento rispetto al 2007 quando le aziende «non congrue» erano poco più del 26%. L’ultimo dato è il più alto degli ultimi dieci anni. Secondo la Cgia, nonostante gli accorgimenti e i correttivi anticrisi introdotti di recente, la recessione pesa fortemente sui bilanci delle piccole aziende, senza che gli Studi di settore siano capaci di tenerne opportunamente conto. Insomma, secondo l’accusa, uno strumento incapace di fotografare con obiettività la situazione del Paese in tempo di recessione economica.
E quindi piccole imprese che, oltre alle conseguenze reali della crisi e alla stretta del credito bancario, ormai certificata da più parti, rischiano di dover fare i conti con un problema in più. Ovvero un fisco in allerta per un probabile calo del gettito. Va però detto, come spiega la stessa Cgia, che il governo ha già dato segnali di un’ampia comprensione del problema. Una circolare ministeriale ha per ora invitato i vari Uffici delle entrate a non procedere automaticamente nei confronti delle aziende che non rientrano nei parametri degli Studi di settore, ma di valutare caso per caso.
Intanto dalla Commissione bicamerale di vigilanza sull’analisi tributaria arrivano proposte concrete per la lotta all’evasione fiscale. Gli ingredienti della ricetta sono la detassazione dei redditi che i contribuenti dichiarano in più rispetto agli anni precedenti. E l’introduzione di strumenti più sofisticati come il «redditometro di massa».

Una ricetta dunque che si basa sia su una parte di incentivazione sia su un controllo più efficace dei patrimoni, che non si limiti al solo «lusso», ma ad una più ampia gamma di beni di largo utilizzo. Un esempio: il redditometro attuale valuta il possesso di imbarcazioni registrate. Ne sono escluse tutte quelle sotto i 10 metri.

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