Stupra una peruviana di 17 anni e si rifugia dalla mamma: preso

Un ecuadoregno violenta una ragazza: è il quinto caso in solo venti giorni

C’è voluto un intero pomeriggio per convincere la vittima, una peruviana di 17 anni, a superare il terrore e denunciare il proprio aguzzino, ma alla fine carabinieri e magistrato, assistiti da uno psicologo e dai medici della Mangiagalli, sono riusciti a farle firmare la denuncia. Così, in serata, l’accompagnamento in caserma del bruto, un ecuadoregno di 19 anni, clandestino e pregiudicato, si è trasformato in fermo.
Finisce così una brutta storia di violenza e degrado, iniziata qualche ora prima nei sotterranei di uno stabile in corso Lodi 65. Sono circa le 3 dell’altra notte quando un egiziano, un 30enne in regola, accorre perché sente le grida di una donna. Trova una peruviana di 17 anni, piena di lividi e con i vestiti strappati e chiama i carabinieri. Arrivano gli equipaggi del Radiomobile che portano la ragazza alla Mangiagalli. La identificano come peruviana, 18 anni tra cinque mesi, un passato difficile alle spalle, tanto che i servizi sociali l’avevano affidata alla comunità di via Alfieri 17 gestita dall’Istituto Martinitt e Stelline.
La ragazza viene medicata e faticosamente racconta la sua terribile avventura. Qualche giorno prima conosce un altro sudamericano, lo frequenta e accetta di passare con lui la serata di martedì. Mangiano una pizza, gironzolano un poco poi verso le 2 lei decide di tornare in comunità. Lui le suggerisce di passare sotto lo stabile, un labirinto che si estende per tre piani sotto terra, dove di fatto lui passa quasi tutte le sue notti. «Così arriviamo prima in piazzale Lodi dove prenderai l’autobus per rientrare». Qui scatta l’aggressione: calci e pugni. Poi lo stupro.
Con le indicazioni fornite dalla vittima e dallo stesso egiziano, che conosceva il giovane bruto, i carabinieri arrivano a identificarlo. Si tratta di un ecuadoregno di 19 anni, arrivato in Italia con la sorella - una ragazza a posto con lavoro e permesso di soggiorno - e la madre. Una donna dal passato a dir poco vivace, finita in un’inchiesta per traffico di stupefacenti e posta dall’autorità giudiziaria agli arresti domiciliari in uno dei 275 alloggi di viale Bligny 42. Già, proprio nel fortino della droga, occupato da spacciatori e clandestini, dove il 6 dicembre 2000 la polizia fece irruzione per scovare alcuni terroristi islamici. Per poi tornare il 28 maggio 2006 per un omicidio: un nordafricano cerca di violentare un’italiana; un suo connazionale, fidanzato della donna, prova a difenderla e viene ammazzato a coltellate.
Ed è proprio qui che ieri mattina alle 9.30 i carabinieri vanno a scovare il ragazzo che, curiosamente non ha mai regolarizzato la sua posizione in Italia e risulta dunque clandestino. Fotosegnalato fin dal 2005, l’ecuadoregno ha collezionato una sfilza di denunce e arresti per furti, rapine, aggressioni, lesioni, resistenza e oltraggio alle forze dell’ordine.

Viene portato in via Moscova dove però fa il pesce in barile «Perché mi avete fermato?» continua a chiedere. Lo scoprirà nel tardo pomeriggio. Quando, dopo il paziente lavoro di investigatori e medici, la peruviana si decide a riconoscerlo come il suo aguzzino e a firmare la denuncia.

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