Cronaca giudiziaria

Stupro in Centrale: pena giù di 2 anni

Violentò e picchiò donna in ascensore Il difensore: «In cella si sta rieducando»

Stupro in Centrale: pena giù di 2 anni

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Si è reso responsabile di un'aggressione brutale, con abusi sessuali e calci e pugni alla vittima. Dopo il fermo ha anche provato a screditare la donna che è rimasta per ore in balia della sua furia, raccontando agli investigatori di rapporti consenzienti e conoscenza pregressa per questioni di droga.

Una violenza sessuale avvenuta il 27 aprile scorso in stazione Centrale e che ha sollevato molti interrogativi sulla sicurezza in città: in quei lunghissimi 50 minuti nessuno nella control room si è accorto di nulla, nonostante l'occhio la telecamera di sorveglianza dell'ascensore stesse riprendendo tutto in diretta. Solo per un caso un tecnico 43enne che iniziava il turno di lavoro all'alba si è trovato di fronte la scena, e ha avvisato la Polfer. Fadil M, 27enne marocchino senza fissa dimora, è riuscito a concordare in appello, con il consenso della Procura generale, una pena di due anni più bassa: 6 anni invece di 8 anni inflitti dalla gup Silvia Petrucci nel processo abbreviato. Il suo difensore, nel mettere in luce che la procura in primo grado aveva chiesto una pena di 5 anni e 4 mesi, ha poi puntato sul «positivo percorso» che starebbe portando avanti in carcere, «rendendo così efficace la propria opera di rieducazione, integrazione e risocializzazione». Fadil partecipando a corsi e gruppi, ha superato l'esame di italiano e ha iniziato a lavorare come addetto alle pulizie.

La difesa ha evidenziato lo «status di tossicodipendente che certamente ha inciso nella commissione dei fatti oggetto del presente processo». Infine, sembra che Fadil voglia rimediare «a quanto commesso, per quanto nelle sue possibilità, partecipando ad un percorso di giustizia riparativa». La vittima di 36 anni, francese di origine marocchina, dopo essere stata sentita dagli inquirenti, ha interrotto ogni rapporto con la sua avvocata Laura Panciroli e non si era quindi potuta costituire parte civile. A lei l'imputato aveva anche presentato davanti al giudice di primo grado le proprie scuse tramite una lettera che recitava: «Ammetto l'addebito per le brutte accuse per i fatti da me commessi perché ero sotto l'effetto di droghe (crak) e dall'abuso di alcool. Mi dispiace molto per quello che è successo e questa è la prima volta che finisco in carcere.

Farò del mio meglio nei prossimi tempi per cercare di risarcire la parte offesa».

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