I commenti che hanno accompagnato lavvicendamento di Ruini alla guida della Cei, nella quasi totalità, si sono fermati ad evidenziare il taglio individualistico con cui il cardinale avrebbe esercitato il proprio mandato, in questi sedici anni di presidenza. Sia chi ne ha elogiato i meriti, sia chi ne ha visto i tratti di unindebita ingerenza nella laicità dello Stato, tutti hanno sottolineato una presunta distanza di stile e di contenuto tra il pontificato di Giovanni Paolo II, ritenuto super partes e distaccato dalla politica, e loperare del suo Vicario, considerato più interventista e comunque immanicato nelle vicende italiane.
Che il cardinale Ruini abbia portato il peso della propria personalità è fuori dubbio. Chi ne ha testato lintelligenza e la cultura che ha profuso nel servizio di questi anni, sa che non sarà facile andare in replay e, soprattutto, reggere la mole di lavoro che ha saputo gestire nel suo mandato. Se cè un sostantivo che spicca tra tutti, per delineare il suo stile, è certamente quello dellinfaticabilità.
Ma sarebbe davvero ingeneroso leggere la vicenda di Ruini nellottica di un protagonismo autoreferenziale. In effetti, non è difficile cogliere la cifra del suo impegno nellottica di una dedizione incondizionata agli indirizzi che venivano dal Papa stesso. Era il 1985, quando a Loreto Giovanni Paolo II invitò i cattolici a «operare affinché la fede tornasse a recuperare un ruolo guida e unefficacia trainante». A molti sfuggì quellinvito ma, in realtà, esso andava a chiudere la svolta religiosa che, nel dopo Concilio Vaticano II, era stata fatta sotto il pontificato di Paolo VI. Per chi non ne avesse memoria, la scelta fu determinata allora dal bisogno di differenziarsi e distanziarsi dalla Democrazia cristiana. La sinergia operativa messa in piedi negli anni successivi alla fine della Seconda guerra mondiale aveva portato a un rischio non remoto di pericoloso appiattimento tra le posizioni di fede e quelle partitiche, quasi che cristiano fosse sinonimo di democristiano e viceversa.
Il Concilio Vaticano II, riscoprendo la dimensione profetica del Vangelo, chiedeva di sottrarsi a qualsiasi collateralismo di parte. La chiesa doveva essere ovunque senza essere di alcuno.
Lesito di questo nuovo indirizzo fu lo smarcarsi di tutti i grandi movimenti, a partire dallAzione cattolica, da tutto ciò che potesse essere considerato mondano. Gli stessi documenti del Magistero puntarono su evangelizzazione e sacramenti, quasi a richiamare i cattolici sullurgenza di rifarsi unidentità spirituale davanti alle sfide del mondo.
Giovanni Paolo II, in un mutato scenario socio-politico capì che la chiesa non poteva rimanere alla finestra. Le leggi sul divorzio e sullaborto, il progressivo sfaldamento della famiglia, le nuove sfide della bioetica, lindividualismo crescente germinato dal pensiero debole, il degrado progressivo della politica che sarebbe sfociato in Tangentopoli: tutto reclamava una nuova assunzione di responsabilità. Ruini, chiamato a presiedere i vescovi italiani nel 91, è stato il fedelissimo interprete di questo nuovo orientamento. La creazione del Forum delle famiglie nel 92, Reteinopera per il socio-politico nel 2002 e il Comitato Scienza e Vita nel 2005 sono le icone più evidenti di questa risposta al bisogno di nuovo protagonismo. Un capitolo a parte meriterebbe il suo investimento nella comunicazione mediatica con lobiettivo di rilanciare il progetto culturale, come era venuto dalle indicazioni del Convegno di Palermo del 95.
Il dopo Ruini rischia di deludere quanti lo caricano di aspettative rivoluzionarie. Semplicemente perché il problema non è né di uomini né di metodi. Sul campo resta la sfida sui grandi temi che riguardano la dignità della persona umana. Un tema che non è riconducibile ad una sensibilità cattolica.
brunofasani@yahoo.it
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.