Politica

Su Facebook l’amore per l’odio

La protesta di uno studente contro il ritardo di un treno diventa su internet una pagina virtuale dove migliaia di navigatori urlano la propria rabbia contro tutto e tutti. Gli effetti sono spesso comici. Ma fanno così tristezza

Su Facebook l’amore per l’odio

Quante volte abbiamo avuto voglia di prendere a calci sul sedere chi ci sta complicando stupidamente l’esistenza. Ci rinunciamo per non peggiorare la nostra situazione e tiriamo avanti: è un segno non di rassegnazione, ma di eroismo. Quell’eroismo della vita quotidiana con cui si fronteggiano situazioni aggressive, umilianti, provocatorie. Nessuno ne parla, non fanno notizia, e rimangono oscure e anonime anche le persone che rinunciano a quei calci ben assestati.
Ma ecco un moto d’orgoglio, la ribellione e l’eroismo della piccola esistenza quotidiana si alimenta di nuove energie. Si è trovato un alleato potente: Facebook. Non costa niente; il suo aiuto potrebbe essere doloroso per il nemico molto più che i calci sul sedere. La piazza virtuale avrà tante controindicazioni, ma protegge la democrazia della comunicazione: si può protestare, gridare, alzare cartelli (virtuali) con le proprie rivendicazioni, sicuri che non arriveranno i carabinieri a portar via con i cartelli il contestatore. Ma c’è protesta e protesta, rivendicazione e rivendicazione anche su Facebook.

Un ragazzo perbene, uno studente abituato a prendere il treno per andare a fare gli esami all’università, impiega non più di un’ora di tempo per recarsi dalla sua città alla sede accademica. In realtà i ritardi sono la regola, ma ancora accettabili dalla santa pazienza. Un giorno, per compiere quel viaggio, lo studente rimane in treno la bellezza di sette ore per un ritardo causato da una serie di disguidi.
Cosa fa, allora, il sequestrato di Trenitalia? Non perde altro tempo chiedendo il rimborso del biglietto perché immagino che allo sportello gli avrebbero consegnato una infinità di moduli che gli avrebbero sollevato quantità di cavilli pensati appositamente per scoraggiare il viaggiatore che ha diritto al rimborso. Così, il mite studente cerca un modo per manifestare la sua rabbia. Ecco Facebook: il ragazzo crede che la piazza mediatica sia il suo campo di battaglia contro il sopruso patito. Il messaggio che lancia è rapido ed essenziale: odio Trenitalia.
Si può supporre che la reazione più probabile alla lettura del suo proclama sia una semplice indifferenza o, tutt’al più, una distratta curiosità. E invece no, accade l’imprevedibile: il sequestrato di Trenitalia diventa, senza volerlo, il corifeo dell’italica insofferenza.
Divampa la protesta: su Facebook sorgono siti come funghi (si parla di 70mila) in cui la gente lancia le sue accuse. Non si leggono, però, denunce argomentate, reclami motivati, ma semplice messaggi, esattamente come quello del sequestrato di Trenitalia. Una sequela interminabile di variopinti «odio...». «Odio i Suv», «Odio Barbara D’Urso, «Odio la lanuggine che si forma sull’ombelico», e poi la pressione bassa, la carta igienica finita, l’ora solare, Marzullo, il dentista...

Scopriamo che i nostri concittadini odiano praticamente tutto e usano la piazza virtuale non tanto come un luogo per spiegare ragionevolmente un disagio, ma come un letto gigantesco per una seduta psicoanalitica collettiva. Per esprimere cosa? Per ottenere cosa? Nulla: appunto, una psicoanalisi di gruppo che non porta niente, se non alla narcisistica esibizione di un proprio io, modesto e frustrato.

Ricordo che durante l’epoca della Serenissima Repubblica di Venezia, la saggezza dei dogi aveva previsto una tassa sul «mugugno», cioè il diritto di critica al governo a patto che si pagasse una piccola, simbolica somma di danaro e si esprimesse il proprio disappunto - per questa o quella legge - rapidamente, senza soffermarsi troppo a lungo sulle ragioni stesse della protesta. Questa decisione era giustificata dal fatto che una motivazione ben argomentata del lamento avrebbe potuto generare un forte consenso contro il governo serenissimo, mentre un veloce «no», un mugugno, appunto, non preoccupava affatto perché non sarebbe mai riuscito ad aggregare il dissenso, non avrebbe mai creato alcun seguito popolare.

L’odio via Facebook è una specie di mugugno informatico, sterile, insignificante, che trasforma la crudeltà dell’odiare in un modo grottesco di prendersela con qualcuno o qualcosa. La democrazia della comunicazione virtuale finisce per banalizzare, togliere asperità e forza.

Più energico e pericoloso il piccolo eroe della vita quotidiana che subisce i soprusi e tira avanti, essendo perfettamente consapevole che la protesta o costruisce una possibile alternativa o è sterile come il «no» di un bambino cocciuto, molto simile alla regressione infantile di un popolo che con i suoi banali mugugni su Facebook mostra di non sapere neppure più cosa significa odiare.

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