U sain Bolt che stringe la mano alla storia, ma non ai suoi avversari, fa venire l'orticaria a Jacques Rogge, il presidente del Cio, l'unico che, davanti al brivido del mondo per un atleta straordinario, si è preoccupato di fargli avere come regalo per i suoi 22 anni su Marte una nota di biasimo. Strana gente i dirigenti sportivi, quelli che dicono che è il Tour a fare i campioni, è l'Olimpiade che conta più di ogni altra cosa, pazienza se intorno ne accadono di tutti i colori, pazienza se non tutte le scelte hanno un senso, cominciando dagli sport ammessi alla festa.
Trovando una posta celere manderemmo a Rogge le poesie di Aldo Palazzeschi, un fiorentino che combatteva le malinconie e banalità del quotidiano, dove si legge anche che l'essere canzonati un pochino e qualche volta un po' di più, è cosa che attrae molto, certo più che l'essere trattati con serietà e rispetto.
Bolt è la natura gioiosa, felice, allegra. Mangia pollo fritto, non si preoccupa di fissare bene i lacci delle scarpe dorate che gli servono per correre, balla sul mondo, non si accorge degli altri, anche perché prima di Pechino quanti sono stati gli sfidanti strafottenti che gli dicevano adesso ti sistemiamo?
Aveva già il record dei 100 e non pensava di farne uno nuovo anche salutando la gente nei metri finali. Nei 200 è stato più serio, ha spinto fino in fondo ed è andato oltre la sacra porta che Michael Johnson aveva piazzato sulla luna 12 anni fa. Le Olimpiadi con lui hanno trovato un re a cui basta un letto ed un bel paio di sandali, oltre alla musica, per sentirsi felice.
Certo che poteva salutarli gli avversari battuti, adesso che lo hanno sgridato magari si ricorderà di farlo, ma conoscendo il mondo nevrotico dello sprint, ricordando gli altri principi della pista non ricordiamo di averne mai visto uno davvero umile.
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