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«Su Nassirya non cambio idea: in Irak c’è una guerra coloniale»

Marco Ferrando, il trotzkista di Rifondazione: «Sappiamo tutto su come muore un nostro soldato, ma poco su come muoiono gli iracheni sotto il piombo delle truppe italiane»

«Su Nassirya non cambio idea: in Irak c’è una guerra coloniale»

Pubblichiamo il resoconto dell’intervista del direttore del Giornale Maurizio Belpietro a Marco Ferrando, leader trotzkista di Rifondazione, andata in onda ieri sera su Retequattro durante l’«Antipatico». La candidatura di Ferrando, dopo le sue dichiarazioni sulla missione italiana in Irak («Sparare ai nostri soldati è un diritto degli iracheni»), è stata revocata dal segretario di Prc Fausto Bertinotti.
Ferrando, ma davvero si può sparare sui soldati italiani? Davvero gli iracheni possono colpire i nostro soldati che sono in missione umanitaria?
«Che i nostri soldati siano in missione umanitaria, è un legittimo giudizio di parte. Penso che gli iracheni uccisi durante la battaglia dei ponti a Nassirya, l'autoambulanza annichilita dalle truppe di occupazione italiane, con anziani, donne incinte, bimbi massacrati dalle truppe, avrebbe probabilmente un giudizio diverso sulla caratterizzazione...».
Mi pare ci sia anche un direttiva dell'Onu che parla di iniziativa umanitaria...
«Si, ma l'Onu è dominato dalle grandi potenze della Terra...».
Lei non riconosce l'Onu?
«Se distribuiscono il bottino delle risorse naturali, nel caso specifico del petrolio, fra le varie potenze occupanti l'Irak, l'Onu ci mette il timbro... E quindi il diritto di un popolo sottoposto a forze di occupazione, il diritto di resistenza a queste forze di occupazione, è un diritto universalmente riconosciuto e assolutamente sacrosanto. Tanto più è attuale la rivendicazione di questo diritto proprio in questi giorni, quando le tv di tutto il mondo documentano i crimini e le brutalità delle truppe di occupazione inglesi nei confronti di bimbi iracheni, o nel mentre emerge, persino attraverso interrogazioni delle Camera, le responsabilità delle nostra forze di occupazione nel massacro della battaglia dei ponti a Nassirya. Noi sappiamo tutto su come muore un italiano, ma sappiamo poco su come muoiono gli iracheni sotto il piombo delle truppe italiane.
Mi pare che non sia affatto pentito di quello che ha detto al Corriere della Sera.
«Io trovo il titolo del Corriere della Sera, forzato rispetto al contenuto dell'articolo; il contenuto dell'articolo lo rivendico in pieno. Non cambierei una virgola. Il diritto di rivolta popolare contro forze di occupazione, ho distinto tra rivolta popolare, anche armata, contro forze di occupazione, dalla logica della pratica del terrorismo religioso e fondamentalista...».
Lei, a caldo, ha detto che è stata un'operazione piratesca fatta a tavolino da Fassino e da Mieli, il direttore del Corriere della Sera, contro di lei.
«Diciamo che è stata un'operazione... deontologicamente fondata, mettiamola in questi termini. Capisco gli intenti politici. La legittimità anche di operazioni politiche. Ho visto che alcuni organi di stampa e sicuramente il centro dell'Unione, impegnato da giorni nel chiedere la ripulitura delle liste di Rifondazione comunista da tutti i candidati cosiddetti irregolari, cioè quelli che si presume a torto o a ragione non siano ligi a un possibile governo di industriali e di banchieri...».
Lei ha detto che effettivamente a pensarla come lei è il 41% di Rifondazione comunista...
«No. Ho detto che a pensarla come me complessivamente è la quota di consenso che io registro in sede di Congresso, che è quasi il 10%, ma sicuramente il 41% del partito, almeno, vuole difendere la sovranità del partito in fatto di candidature di fronte ai diktat che sono stati avanzati contro il partito, l'autonomia e la dignità del mio partito, dal ministro degli Esteri di un governo di guerra come Gianfranco Fini e da un ex presidente del Consiglio che ha bombardato la Serbia con l'opposizione di Rifondazione comunista e che oggi chiede a Rifondazione comunista di depurare i candidati che sono coerentemente contro la guerra, credo che sicuramente quel 41%, almeno il 41%, si opporrà a quest'arbitrio».
Lei sta dicendo che Fini e D'Alema hanno costretto Bertinotti a cacciarla dalle liste?
«Io non faccio analisi sofisticate. Faccio constatazioni elementari che sono disponibili all'osservazione di chiunque. Abbiamo sentito tutti gli autorevoli personaggi politici e massimi dirigenti del centrodestra sentire l'esigenza di rivendicare pubblicamente la mia estromissione dalle liste. Persino Prodi, con tutti i problemi che ha, ha avuto modo di trovare il tempo di chiedere la mia cacciata dalle liste e oggi registro che dopo che è stata intrapresa questa azione di estromissione c'è un coro entusiastico di consenso a questa scelta di Bertinotti, ci si congratula con la cultura della responsabilità di governo del gruppo dirigente del mio partito...».
Lei non è stato tenero neanche con Prodi. L'ha definito il maggiordomo delle banche...
«Io non ho nulla da rettificare rispetto a questo... Avendo visto la lunga fila di banchieri alla primarie e sapendo che Prodi e il prodismo hanno il sostegno di tutte le grandi banche italiane, proprio tutte, non vedo che cosa dovrei rettificare... Queste mie posizioni sono note da sempre e infatti io ho fatto una battaglia politica e continuerò a farla nel mio partito perché si eviti l'abbraccio di governo potenzialmente mortale per le ragioni sociali che noi esprimiamo».
La cacciano da Rifondazione, sì o no. O se ne va lei?
«No, ci mancherebbe altro».
Non fonda un altro partito?
«No. Io non tolgo il disturbo. Io voglio salvare il mio partito dal rischio di una deriva potenzialmente mortale. Lo voglio salvare con la stragrande maggioranza dei compagni, dei militanti, degli iscritti che vogliono resistere, opporsi con le loro convinzioni al rischio di questa deriva per la stessa identica ragione per cui difendo la sovranità politica del mio partito da Prodi, D'Alema e Fini. La difendo anche dalle considerazioni della Santanchè (anche lei ospite del programma ndr), che dovrebbe semmai occuparsi dell'alleanza della sua coalizione con un gruppo fascista, di estrema destra o potenzialmente terrorista che alberga nella cosiddetta Casa delle libertà...».
Lei è di Finale Ligure, dove è sepolto il maresciallo dei Carabinieri Daniele Ghione, che morì durante un attentato in Irak. Non si vergogna un po' di aver detto quelle cose, in particolare di aver detto che i soldati italiani sono servi dell'Eni?
«Questa domanda, che è volutamente provocatoria e del tutto legittima, ha una risposta molto semplice. Io so distinguere tra pietas per le vittime dalla denuncia delle ragioni di una guerra coloniale. E dico di più. Dico che mi risulta particolarmente fastidioso, ipocrita, il lamento formale di chi compiange le vittime, quando colui che ha mandato questi soldati in Irak lo ha fatto per gli interessi dell'Eni e per la spartizione del petrolio delle grandi compagnie... Questo mi impressiona.

Quindi rivendico io la pietas, non chi ha voluto la guerra».

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