La sua fortuna da carnefice a smemorato

L’uomo che mise a morte Gesù Cristo, non poteva «cavarsela» con una presenza tutto sommato marginale nei Vangeli. Infatti Ponzio Pilato, il prefetto della provincia romana della Giudea, fa capolino qua e là nella storia della letteratura mondiale.
Ne fanno cenno lo storico Giuseppe Flavio nel 93 o 94 («lo accusarono - Gesù, ndr - davanti a Pilato e lui lo condannò alla crocefissione») e Tacito nel 116 o 117 (con il famoso errore di chiamarlo «procuratore» e non «prefetto» di Giudea), mentre Dante, secondo alcuni interpreti, si riferiva proprio a lui con le enigmatiche parole del canto III dell’Inferno: «colui che per viltade fece il gran rifiuto» (anche se altri propendono per Celestino V, o Giano della Bella, o Esaù).
Fra le numerose leggende che lo riguardano, ricordiamo soltanto quella che ha origine con Antoine de La Sale (o de La Salle), scrittore e viaggiatore francese del Quattrocento, il quale riporta una storia raccolta durante un viaggio in Italia. Ponzio Pilato, riportato a Roma da Tito Flavio Vespasiano, fu fatto uccidere e il suo cadavere, su di un carro trainato da buoi, trasportato verso le pendici del Monte Vettore nel massiccio dei monti Sibillini, e gettato in un lago, che oggi porta il suo nome.
Il tema del ritorno in Italia è centrale anche nel racconto di Anatole France Il procuratore della Giudea (che riecheggia nel titolo l’errore di Tacito). L’autore di Thaïs immagina infatti che Ponzio Pilato, tornato nella penisola, parlando con un politico locale a fatica ricordi la vicenda di un tale che... passò un bel po’ di guai. Ma il nome no, quello fa fatica a ricordarselo.


Infine Mikhail Bulgakov. Il suo Il Maestro e Margherita contiene un romanzo nel romanzo incentrato sull’incontro fra Pilato e Yeshua (il nome ebraico di Gesù). Il romanzo del maestro è infatti una riscrittura dei Vangeli.

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