In Sudan la guerra civile vinta dagli animali

Pensavano di essere seduti con le loro povere chiappe ossute su uno dei più ingrati, polverosi - paludosi, in alternativa - territori del pianeta. E tutti presi dal busillis di come mettere insieme il pranzo con la cena - ora che a tutto vapore, e con percentuali vicine al 99 per cento hanno scelto la secessione dal più ricco e attrezzato Nord musulmano- gli abitanti del Sud Sudan non sapevano, l’hanno scoperto ora, di essere seduti su un forziere d’oro. (A proposito di chiappe ossute e di quel che, metaforicamente, gli gira intorno). No, non è il petrolio. Quello già si sapeva che c’era, anche se bisognerà mettersi d’accordo con i vecchi nemici del Nord, tanto a me, tanto a te, per farlo arrivare fino ai porti d’imbarco che sono appunto lassù, a settentrione.
No, il forziere colmo di pepite, quel che potrebbe trasformare il Sud Sudan in un altro Kenia, in un’altra Tanzania, con i suoi resort, i suoi jungle lodge e i suoi Briatore, e il conseguente corredo di charter e di cacciatori bianchi assetati di safari (fotografici, ormai) è rappresentato dallo straordinario patrimonio faunistico che, a sorpresa, hanno scoperto di avere ancora, nonostante tutto. Di averlo anzi moltiplicato per cento rispetto a una trentina d’anni fa. Pensavano di esserselo giocato una volta per sempre, dando per scontato che dopo 25 anni di guerra civile, e di fame, e di carestie, e di campi abbandonati, e due milioni di morti, tutto ciò che avesse pelo, piuma o pelliccia fosse finito allo spiedo o in pentola. È accaduto invece il contrario. Spariti i bracconieri assetati di corno e d’avorio, affezionati più alla loro pelle che a quella di zebre, tigri e coccodrilli; protetti dalle grandi paludi nell’est del paese soprattutto durante la stagione delle piogge, zebre, antilopi e gazzelle si sono riprodotte tumultuosamente. «È incredibile, allucinante. Quel che si vede dall’alto va al di là di quello che uno potrebbe pensare», ha balbettato Michael Fay, esploratore della National Geographic Society, raccontando di aver visto all’inizio del mese, dall’aeroplano, una «mandria» di antilopi e di gazzelle transumanti di oltre un milione di capi. «Un fronte di quasi cinque chilometri per una lunghezza di otto, un animale attaccato all’altro. Una roba da pazzi». Ovvero la più grande migrazione mai osservata sulla Terra, assai più imponente di quelle che normalmente si osservano nel Parco di Serengeti, in Tanzania, giura mister Fay.
Era dal 1983, dallo scoppio della guerra civile, che il monitoraggio degli animali selvatici non si faceva più. All'ultimo censimento, era l'inizio degli anni Ottanta, si erano contate 900 mila antilopi. Per non dire degli elefanti, delle zebre, dei leoni, degli ippopotami e delle giraffe che popolavano i 650 mila chilometri quadrati del Sud Sudan. Nel frattempo, davano tutti per scontato che anche laggiù fosse finita come in Angola e in Mozambico, dove i parchi naturali erano stati spazzati via dalla furia delle armi. «Trent’anni fa - ha raccontato Paul Elkan, direttore del Wildlife Conservation Society - la gente raccontava che gli animali selvatici stavano sparendo a vista d’occhio. Si diceva che alcune specie di antilopi fossero addirittura sul punto di estinguersi». Poi, per fortuna, verrebbe voglia di dire, la guerra.
In un mondo assetato di autenticità, di natura allo stato brado, di wildlife, la scoperta di questo «filone aurifero» è suscettibile di dare una svolta significativa all’economia di una regione disastrata. Tanto ci crede, il governo del Paese, da avere incaricato l’esercito di stendere una cintura di protezione intorno ai parchi. E il petrolio? «Il petrolio naturalmente è importante. La ricostruzione del Paese sarà possibile grazie ai proventi del greggio - dice Paul Elkan -.

Ma la scoperta di questo immenso patrimonio naturale sarà il secondo grande business del Sud Sudan. Lo sanno anche loro. E infatti, i permessi per le nuove prospezioni geologiche per la ricerca del petrolio vengono rilasciati solo per aree lontane dai corridoi usati dagli animali per le loro migrazioni».

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