El Facher (Sudan) Un'arringa infuocata davanti a una folla di sostenitori in delirio: il presidente sudanese Omar al Bashir, attorniato dalla sua gente, sfida la Corte penale internazionale (Cpi) che ha emesso nei suoi confronti un mandato di arresto per crimini di guerra. E sfida l'Occidente minacciando l'espulsione dei diplomatici, di tutte le Ong presenti sul territorio, delle forze Onu nel Paese che, dice, "hanno l'obbligo di rispettare le leggi locali".
Il 4 marzo scorso la Corte penale internazionale ha emesso un mandato d'arresto contro el Bashir per crimini di guerra e contro l'umanità in Darfur. Da allora già 13 Ong sono state espulse. E' stata la prima reazione del presidente sudanese, fino alla sua apparizione di oggi a El Facher, capitale del nord Darfur, con cui ha lanciato al mondo il suo guanto di sfida: "Abbiamo espulso le organizzazioni (non governative ndr) perché minacciavano la sicurezza del Sudan", ha urlato. "Espelleremo chiunque violi le leggi sudanesi, che si tratti di organizzazioni di volontari, missioni diplomatiche o forze di sicurezza", ha continuato davanti ad una folla acclamante.
A migliaia i sostenitori di Bashir sono giunti in città, molti a dorso di cammelli, a bordo di furgoni, hanno sventolato bandiere e mostrato striscioni il sostegno del presidente sudanese. Nell'acceso comizio Bashir ha duramente respinto il mandato di cattura emesso della Cpi per i massacri avvenuti nella regione, elencando, per contro, una lista di atrocità commesse dall'Occidente e rimaste impunite: "Hanno ucciso milioni di indiani - ha detto - perché non vengono processati per questo".
Ha poi ribadito che non estraderà nessuno degli altri imputati sudanesi e ha anche respinto gli sforzi per una sospensione del mandato di cattura portati avanti da organizzazioni amiche, come l'Unione africana, chiedendo che il provvedimento sia annullato. "Siamo contro la sospensione della decisione - ha detto Bashir -. Devono cancellarla o scioglierla nell'acqua e bersela... La Corte penale internazionale e tutti i suoi membri e sostenitori sono sotto i miei piedi". Una formula, quest'ultima, considerata un grave insulto nei Paesi arabi.
Bashir ha chiesto infine ai movimenti di ribelli della regione di "deporre le armi e di aderire al processo di pace" perché "non c'é ragione di imbracciare le armi... Non è questione di rivendicazioni, perché le vostre rivendicazioni possono essere soddisfatte, e il vostro paese è troppo prezioso per essere venduto per qualche dollaro".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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