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In Sudan rapiti tre volontari, uno è italiano

SOSPETTO Gli autori del gesto potrebbero essere simpatizzanti del presidente Bashir, che ha espulso dalla regione le Ong

Un medico italiano, un’infermiera canadese ed un coordinatore francese: sono tre i volontari rapiti mercoledì sera in Darfur, uno delle regioni più pericolose al mondo, soprattutto dopo la richiesta di arresto per crimini di guerra del presidente sudanese Omar al Bashir. Un gruppo di uomini armati si è presentato verso le 19 presso la sede dell’organizzazione umanitaria Medici senza frontiere (Msf), sezione del Belgio, a Serif Umra, nella disastrata regione occidentale del Sudan. In città Msf gestisce un piccola clinica che aiuta migliaia di sfollati. Da sei mesi faceva parte dell’avamposto umanitario il medico vicentino Mauro D’Ascanio, 34 anni, specializzato in interventi d’urgenza. Con lui tenevano in piedi la clinica la canadese Laura Archer ed il coordinatore francese di Msf, Raphael Meonier. I rapitori si sono portati via gli stranieri e due sudanesi, senza sparare un colpo. Poco dopo hanno rilasciato i locali, che sono tornati indietro con la richiesta di un riscatto. Lo ha confermato il governatore della regione, che ha aggiunto che i negoziati sono cominciati.
«Abbiamo parlato al telefono con uno dei tre ostaggi e ci ha detto che lui e i suoi compagni stanno bene», ha dichiarato ieri pomeriggio Hani Khalifa, vice presidente di Msf Svezia, intervistato dalla tv araba al-Jazeera. Kamla Saiki, portavoce della missione di pace (Unamid) in Darfur, ha affermato: «Si tratta della prima volta che operatori umanitari internazionali vengono rapiti in Darfur». Il ministero degli Esteri di Khartoum ha subito fatto sapere che i tre volontari «stanno bene e saranno liberati nelle prossime ore». Poi ha aggiunto: «Le autorità sudanesi e i reparti speciali sono sul posto in cui vengono tenuti gli ostaggi». Come se ci si aspettasse qualcosa del genere, dopo gli strali del capo dello Stato contro le organizzazioni umanitarie straniere accusate di avere collaborato con il Tribunale penale internazionale per l’incriminazione di Bashir sui massacri in Darfur.
Il sospetto è che le autorità conoscano benissimo i sequestratori. La pista porta dritta alle bande filo governative: gli ex Janjawid, i cosiddetti «diavoli a cavallo”, usati per le stragi di civili. Dal 2003 la guerra ha provocato almeno 300mila morti e 2 milioni e mezzo di profughi. La zona del nord Darfur dove sono stati rapiti i tre stranieri dovrebbe essere sotto controllo governativo, anche se nei dintorni dei centri abitati girano bande armate che mescolano la politica con le razzie. Gli ostaggi, però, avevano già subito minacce, dopo l’annuncio del mandato di arresto per Bashir. Il presidente ha ordinato l’espulsione di 13 organizzazioni non governative, compresa la sezione francese e quella olandese di Msf. Un gruppo radicale islamico ha minacciato ritorsioni contro i «sostenitori dentro e fuori il Sudan» del Tribunale internazionale.
Da Khartoum, Ahmed Bilal Osman, consigliere del presidente, ribalta la pista più accreditata. «Credo che l'azione, se commessa dal Jem, rientri nella consueta prassi dei ribelli che compiono atti terroristici per destabilizzare il governo», ha dichiarato ieri al sito Peacereporter vicina a Emergency, l’ong di Gino Strada, che si è scagliato l’altro giorno contro il mandato d’arresto a Bashir. Il Jem è il Movimento per la giustizia ed eguaglianza, una delle principali formazioni armate del Darfur, nemico giurato di Khartoum. Il suo portavoce, Ahmed Hussein, ha invece puntato il dito contro Musa Hilal, noto leader dei Janjawid. «Nove persone sotto il suo comando sono responsabili del rapimento e hanno portato gli ostaggi nella zona a nord est di Kebkabiya», ha affermato Hussein.

Il presunto mandante aveva minacciato di «ripulire il Darfur dai tirapiedi della nuova colonizzazione».

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