«Sugli immigrati non accettiamo voltafaccia»

RomaChi fa paura alla Lega? Non certo un presidente della Camera tornato a fare il politico che risponde per le rime a Umberto Bossi e lo sfida sul terreno del suo stesso linguaggio: «Io non ho lo scolapasta in testa, e quindi non posso essere preso a randellate come dice lui», è stato uno dei messaggi lanciati al Senatùr da Gianfranco Fini nel suo passionale intervento di Gubbio.
Finalmente è sceso di nuovo nell’arena, si compiace Roberto Calderoli. I leghisti si entusiasmano per la battaglia, per la parola senza preamboli, il ring che in politica è segnale di salute. Nessuna permalosità, magari qualche diffidenza per le idee finiane sull’immigrazione che sono agli antipodi rispetto al pensiero del Carroccio.
Ma l’apertura al dialogo prospettata dal presidente della Camera è gradita: «Indubbiamente - valuta il ministro della Semplificazione - leggendo oggi le parole di Fini viene subito in mente quanto manchi in questo momento il suo contributo all’interno del Pdl». Sono considerazioni, quelle pronunciare a Gubbio «di un politico di razza, quale lui è». Calderoli azzarda quindi un’analisi psicologica del soggetto: quelle parole «sembrano evidenziare una sorta di conflitto interiore con il suolo istituzionale che si è scelto... ». Perché alla fine, per quanto sia tornato nella polvere del dibattito politico scendendo dall’aureo scranno di presidente di Montecitorio, Fini «la scelta l’ha fatta»: quella posizione istituzionale ed esterna rispetto alle grandi decisioni di chi governa se l’è presa di sua volontà, è il ragionamento di uno dei ministri leghisti da sempre più fedeli alla linea dell’esecutivo.
I bossiani non sono politici di strategie occulte o di dietrologie esasperate. Vanno al sodo e c’è una cosa e una soltanto che li fa innervosire del Fini istituzionale: come tratta l’immigrazione. «Il presidente Fini dichiara che in materia di immigrazione pretende alcune cose - riflette un altro leghista di peso, il sottosegretario ai Trasporti Roberto Castelli - gli ricordo sommessamente che né in democrazia né tantomeno quando si è alleati con alcuni partiti, si può pretendere alcunché». In democrazia tutto nasce da un confronto «e poi si trova una soluzione, tenendo comunque presente che è piuttosto irrituale che il presidente della Camera metta in discussione l’azione dei governo... ».
Fini è anche l’uomo che può decidere o condizionare il percorso in aula di un provvedimento. E per questo dal Carroccio il dialogo comunque non si interrompe, anzi: «Con Fini è giusto parlarsi e noi abbiamo il massimo rispetto per il suo ruolo - è il commento del capogruppo alla Camera, Roberto Cota -. Questa maggioranza, però, ha sempre avuto due caratteristiche: la compattezza e una politica chiara. Proprio per questo ha il consenso della gente». Dal Carroccio si segnala come tutte le politiche del governo in materia di immigrazione stiano seguendo alla lettera il programma presentato dal centrodestra agli elettori. E quindi alla coerenza non si rinuncia per le divergenze di vedute del presidente della Camera.
Porte aperte dunque al dialogo e al ritrovato Fini politico, ma in materia di sicurezza le promesse vanno mantenute.

La Lega tenterà fino all’ultimo di difenderle anche nel dibattito innescato a Montecitorio dalla proposta di legge sulla cittadinanza agli immigrati, firmata dalla coppia Pd-Pdl Sarubbi-Granata e che tanto piace a Fini: «Diritto alla cittadinanza, inciucio Pd-Pdl-Udc?», si domandava ieri La Padania. Nella tre giorni del Carroccio che parte oggi sul Monviso, sono attese repliche di Bossi alla mano tesa e allo «scolapasta» - carota e bastone - di Fini.

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