Cultura e Spettacoli

Sul «Fronte del porto» c’era l’America di oggi

Sembrava avviato sul Viale del tramonto editoriale, come la più crudele nemesi hollywoodiana, ma il genio di Budd Schulberg, tra i più grandi autori della narrativa americana, torna a calcare le scene di carta grazie all’editore Sellerio che ne sta ripubblicando tutti i romanzi. Più conosciuto, almeno in Italia, come sceneggiatore da Oscar, Shulberg, nato a New York nel 1914 e morto lo scorso anno, ha firmato la maggior parte dei film di un altro grande maestro rimosso della cultura americana: Elia Kazan.
Proprio con Kazan - fondatore dell’Actor’s Studio, scopritore di Marlon Brando e James Dean, capace di consacrare nello star system i miti di Elisabeth Taylor e Gregory Peck, regista di La Valle dell’Eden, Un tram che si chiama desiderio e Splendore nell’erba - Schulberg firmò uno dei capolavori del cinema di tutti i tempi: quel Fronte del porto che andò oltre gli schermi per imporsi come icona nell’immaginario collettivo. Nel ’55 il film vinse 8 Premi Oscar, incluso quello per la miglior sceneggiatura. E proprio dopo quel successo Schulberg decise di trasporre il suo copione in un romanzo pubblicato negli Stati Uniti con grande clamore ed edito in Italia per la prima volta da Garzanti nel 1958. Ora Fronte del porto è nuovamente riproposto, dopo anni di oblio editoriale, da Sellerio.
Uno strano destino, almeno da noi, quello dello Schulberg scrittore. Uno dei suoi capolavori assoluti, I disincantati, a esempio, è rimasto per decenni tra le giacenze del catalogo Einaudi (ripubblicato nel 2007 da Sellerio). È tra i romanzi più feroci e realisti sulla «Mecca del cinema», raccontata attraverso gli occhi di Francis Scott Fitzgerald e del suo rapporto a dir poco tormentato con Hollywood. Ma Schulberg si era già fatto notare nel ’47 con Perché corre Sammy? (Sellerio, 2005), racconto accusato di simpatie filocomuniste dalla commissione del senatore McCarthy. Come a Elia Kazan, non gli fu perdonato di aver collaborato con la Commissione mettendo all’indice tanti «compagni rossi», e i due vennero ostracizzati per anni fino a essere condannati a un oblio che nessuna macchina da presa e da scrivere avrebbe mai riscattato. Su tutti, a sintetizzare il clima, il giudizio di Orson Welles: «Hanno venduto i loro amici per comprarsi una piscina». Un’accusa infamante che incastrò soprattutto Kazan: ancora oggi molti dei suoi film non sono più reperibili in dvd e i suoi libri (Kazan è stato anche un geniale narratore), sono dimenticati. Chi scrive, a esempio, a fatica è riuscito a far pubblicare, curandone l’edizione italiana, Il compromesso (Mattioli 1885), fra i miglior romanzi americani degli ultimi 50 anni e da cui lo stesso Kazan avrebbe tratto il film omonimo interpretato magistralmente da Kirk Douglas e Faye Dunaway.
Kazan, insieme a Schulberg, condivise un manifesto culturale che si può riassumere in una frase: «Non scrivo per divertire, ma per disturbare. Credo che la letteratura sia in grado, anche in modo indiretto, di disturbare: cioè di cambiare un mondo che se lo accetti davvero così com’è sei come minimo un idiota». Anche Schulberg ha sempre disturbato: si legga questo Fronte del porto, molto diverso dal film (con il finale completamente lontano dall’happy end cinematografico), per comprendere tutta la modernità e la forza dello scrittore. La riproposta del romanzo, più che una riscoperta è una nuova epifania: spazza via tutti i postmoderni, tutte le nuove star della scrittura americana per un coraggio e una rottura con il mondo moderno difficilmente riscontrabile nei tanti, troppi, pavidi autori contemporanei. Lontano da ogni ideologia, Schulberg ci consegna il suo ritratto dell’America oggi, ma raccontata ieri: altro che Altman e Carver, qui siamo alle vette della narrativa da vera opposizione. Pura e dura, senza filtri, senza «se» e senza «ma». Non alla società capitalista, come sottolinea Goffredo Fofi nell’introduzione, ma alla società dello spettacolo: quella vaticinata da Guy Debord e già intuita da Walter Benjamin con il suo «feticismo della merce» e ancor prima da Charles Baudelaire quando scrive: «Il progresso ci atrofizzerà il cuore».
Il buon Fofi, laureato in prefazioni (indimenticabile il danno «comunista» fatto a Il tallone di ferro di Jack London nell’economica Feltrinelli), anche in questo caso richiama Il Capitale, le barbe bianche e i comunardi come se il tempo si fosse fermato a Mosca. Tic tac, tic tac: malgrado Fofi, che con Andrea Cortellessa, la Sora Lella della critica italiana, continua a far danni, Fronte del porto è un libro senza tempo e senza colori politici. Altro che Acciaio di Silvia Avallone (più che un romanzo una bara senza maniglie). Qui siamo ai limiti della profezia, altro che Gomorra del Giovane Holding Roberto Saviano: Schulberg, su invito di Kazan, trascorse mesi e mesi nel porto di New York per poi riportare sulla carta tutte le verità nascoste di un precariato esistenziale ante litteram. I legami tra sfruttamento, sindacati e mafia denunciati con cinquant’anni d’anticipo. Altro che Marx.
Come, d’altro canto, anche in un altro film di Elia Kazan, anch’esso introvabile: Un volto nella folla. Che si basa non su una sceneggiatura, come scrive erroneamente Fofi, ma su uno straordinario racconto di Schulberg: Il viaggiatore dell’Arkansas (ancora inedito in Italia). Nel racconto e nel film si narra l’ascesa di un ex galeotto alcolizzato, cantante folk per caso, che in breve diventa una delle voci più potenti d’America sino a influenzare le elezioni.

Fino alla caduta, fino alla dimostrazione che il potere logora i tanti che, mai come oggi, non sono abituati ad averlo.

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