C’è stato il crollo del seracco che ha inghiottito le corde fisse, rendendo estremamente difficile la via del ritorno e costringendo gli alpinisti a trascorrere la notte di venerdì in prossimità della vetta, a 8.300 metri d’altezza. E poi, soprattutto, la valanga che sabato mattino ha sepolto sette scalatori, sfiorando l’italiano Marco Confortola. Ma il disastro del K2, che ha provocato undici morti (tra cui due portatori tornati indietro per soccorrere i propri compagni di spedizione), non è stata causata soltanto dalle insidie della seconda montagna più alta al mondo. Alla base della tragedia, la più grave nella storia himalaiana, ci sarebbero anche «gravi errori umani».
Ad ammetterlo è il capospedizione olandese Wilco Van Rooijen, dato per disperso e poi salvato grazie all’intervento dei compagni Pemba Sherpa e Cas Van de Gevel, accorsi in suo aiuto dopo essere riusciti a scendere per primi nella notte tra venerdì e sabato. Recuperato da un elicottero pachistano e trasportato all’ospedale di Skardu, dov’è in cura per un principio di congelamento, Van Rooijen ha raccontato ieri che quando la spedizione giunse al campo 4 tutto era perfettamente sotto controllo. Poi, però, accadde qualcosa. Alcuni alpinisti che aprivano la spedizione avrebbero infatti «sbagliato a collocare le corde», fissandone alcune anche sul famigerato «collo di bottiglia», un tratto particolarmente pericoloso del percorso. Non è stato l’unico errore. «Ognuno lottava per se stesso» ricorda, sottolineando come qualcuno abbia anche provato a scendere da solo. «La gente correva giù ma non sapeva dove andare, così molti si sono persi sul lato sbagliato della montagna».
Le accuse di Van Rooijen riaccendono le polemiche sulle cause del dramma. Già nei giorni scorsi alcuni dei massimi esperti d’alpinismo a livello mondiale, da Reinhold Messner, il primo a conquistare tutte le 14 cime che superano gli 8mila, a Kurt Diemberger, uno dei più famosi scalatori del dopoguerra, avevano puntato il dito contro l’alpinismo di massa, colpevole di portare su vette difficili come il K2, per motivi commerciali, persone non esperte. Tanto imprudenti, per esempio, da tentare di raggiungere la cima della «montagna delle montagne» col buio.
Nessuno, però, ha mai messo in dubbio le capacità di Marco Confortola, che, secondo Wilco Van Rooijen, è anche tra coloro che hanno effettivamente conquistato la vetta. Ieri, accompagnato da quattro portatori e da un alpinista statunitense, lo scalatore valtellinese è riuscito a scendere per circa 1.300 metri di dislivello, dal campo 3 a campo 1, a circa 5900 metri, dove si è fermato per la notte. Un percorso difficile, segnato anche da alcuni momenti di tensione. I cinque sfiniti, avanzavano molto lentamente, per il principio di congelamento ai piedi che affligge l’italiano e la stanchezza generale, tanto che Roberto Manni - il compagno di cordata che gestisce le operazioni di salvataggio dal campo base - è intervenuto via radio per spronarli, fino a quando hanno raggiunto le tende.
Proprio la radio portata dall’alpinista americano, ieri pomeriggio ha permesso a Confortola, che nella valanga ha perso anche il satellitare, di parlare per la prima volta con la famiglia dopo quattro giorni di silenzio. «Lassù è stato un inferno - ha raccontato al fratello Luigi -. Durante la discesa, per la quota e la fatica mi sono addirittura addormentato in mezzo alla neve a oltre 8.000 metri e quando mi sono svegliato non mi rendevo bene conto di dove mi trovassi». Ma, ha rassicurato, le sue condizioni sono buone. «Le mani stanno bene, mentre i piedi sono neri per il principio di congelamento. Comunque riesco a camminare».
Determinato come sempre, l’«iron man» valtellinese ha parlato anche con Agostino Da Polenza, presidente del comitato Everest-K2 Cnr, che coordina i soccorsi insieme all’Unità di crisi della Farnesina e all’ambasciata pakistana. «Non ho mai mollato in vita mia, non mollo sicuramente adesso», ha detto all’amico. Poi ha rievocato i momenti più terribili. «Quando sono arrivato giù ho visto che non c’erano più le corde fisse, c’era il vuoto sotto di noi».
Eppure non ha mai scordato gli amici, «Mi ha chiesto della mia compagna Stefania, che pochi giorni fa ha subito un intervento chirurgico - sorride Da Polenza - mi ha stupito che in una situazione così difficile se ne sia ricordato». Tempo permettendo, oggi Confortola dovrebbe raggiungere il campo base avanzato, a 5.300 metri, dove potrà essere recuperato da un elicottero e portato all’ospedale di Skardu. Finalmente in salvo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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