Sul pacifismo nel centrosinistra si fa la guerra

Federico Guiglia

L'avevano dimenticato, eppure diventerà il tema decisivo delle prossime elezioni politiche: la sicurezza nazionale. La rimozione politica di una questione che in Italia è stata a lungo considerata soltanto come una vicenda di ordine pubblico sta mettendo a nudo il paradosso del centrosinistra: a fronte della «divergenza parallela» fra la sinistra radicale e la Margherita, i due opposti che sull'argomento hanno idee chiare e, appunto, contrapposte, i ds e Prodi, ossia il maggior partito della coalizione e il leader della coalizione, appaiono in secondo piano. Non dei protagonisti, come dovrebbero, ma delle comparse.
Se Francesco Rutelli dice che «la sicurezza non è una cosa di destra» e che il voto 2006 si deciderà sulla politica estera, cioè anche su come si governeranno le missioni di pace, verdi e comunisti chiedono la chiusura dei centri di permanenza temporanea, bollandoli come Lager e come delle «Guantanamo» di casa.
L'intero arcobaleno pacifista che si muove alla sinistra della sinistra, e che in parte s'incunea anche nel maggior partito della sinistra, rifiuta qualunque compromesso sulla cosiddetta strategia d'uscita dei nostri militari dall'Irak; fosse anche e soltanto il solito compromesso delle virgole a cui la politica è adusa nelle risoluzioni e negli ordini del giorno in Parlamento; documenti che spesso vengono scritti in modo da essere interpretati in modo «elastico», o addirittura votati per parti separate e/o con modalità da reciproca astensione fra maggioranza e opposizione.
Invece la sinistra radicale vuole il «senza se e senza ma» anche negli atti formali e non soltanto nei comportamenti politici. E non senza coerenza, peraltro, dato che la sua è una posizione non nuova, frutto di molti dibattiti («riflessioni», come s'usa dire) e di principio. Ma la stessa coerenza rivendica a buon diritto il «centro che guarda a sinistra», e che da Rutelli a Clemente Mastella ha una linea eguale e contraria sul tema; tant'è che questa linea viene velenosamente definita di centrodestra da chi, in quei paraggi, non la condivide.
Ma in questo modo il nodo della sicurezza dà una connotazione al centrosinistra del tutto particolare e con un trattino vigoroso (centro-trattino-sinistra), essendo la coalizione rappresentata dalla Margherita da una parte e dalla sinistra radicale dall'altra: e la sinistra riformista, che pure doveva e dovrebbe rappresentare il nocciolo duro e strategico della coalizione? E il leader Prodi che sintesi potrà mai trarre da un fronte di alleati in cui manca, o non pesa per quel che pesa la posizione della forza politica principale, e in tempi alterni definita addirittura egemonica da chi la contrasta?
Né si può sostenere che le dichiarazioni di Piero Fassino o di Massimo D'Alema abbiano finora contribuito a rafforzare una tesi o l'altra, posto che fra sinistra radicale e centro a sua volta radicale sull'argomento le cose appaiono inconciliabili. E appoggiare - per esempio - il pacchetto delle misure antiterrorismo del ministro dell'Interno, Giuseppe Pisanu, è un indizio indicativo e perfino interessante, ma del tutto insufficiente per poter immaginare una svolta dell'intero centrosinistra sul tema della sicurezza e della politica estera che ad essa è intimamente legata. Coalizione - vale la pena di ricordare - che si candida alla guida del Paese; e perciò il Paese avrebbe diritto già adesso a conoscere gli indirizzi di un programma chiarissimo al riguardo.
Gli italiani hanno il diritto di sapere se dover mettere in conto oppure no l'eventualità di poter avere fra pochi mesi un governo pacifista, il primo della nostra storia.
f.

guiglia@tiscali.it

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