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«Sul ring per rifare il tetto»

Boxe: stasera in Baviera il match per l’Europeo dei massimi

Riccardo Signori

Inseguendo la sua vita da cane del ring, riesplorando l’epopea delle facce pestate come bistecche, stasera Paolo Vidoz riporterà la boxe a un romanzo romantico e un po’ dimenticato. Potrebbe essere un dramma, forse sarà una farsa, magari una storia di fame dei tempi nostri. Sarà un match valido per il titolo europeo, affrontato con appena quattro giorni di allenamento. A 35 anni Vidoz è quell’intramontabile gigante-balordo, cresciuto a prosciutto e prosecco, indifeso contro la bilancia, un po’ meno contro gli avversari. Viene da Lucinico, provincia di Gorizia che poi è la città da cui partì Oddone Piazza per sfidare il campione del mondo dei pesi medi, un nome, un programma: Gorilla Jones. Fu una storia triste, la parabola di un emigrato in cerca di fortuna. Lucinico a una manciata di chilometri da Sequals, la terra di Carnera che, come Piazza, un giorno prese la valigia in spalla e cercò fortuna negli Stati Uniti. E divenne campione del mondo. Anche Vidoz ci ha provato, dopo aver fatto la sua buona figura alle Olimpiadi di Sydney: medaglia di bronzo con qualche rimpianto. In America c’è andato da professionista, ma non ce l’ha fatta. Sognava di tornare a casa carico di dollari e gloria, invece le tasche sono rimaste vuote e la faccia piena di pugni.
Stavolta proverà di peggio. All’inizio della settimana l’organizzatore tedesco Sauerland lo ha cercato per proporgli di affrontare questa sera a Kempten, in Baviera, il tedesco Timo Hoffmann, un gigantone di due metri e 118 chili per il vacante europeo dei pesi massimi. L’avversario designato, l’inglese Sprott, era stato messo ko da un’infezione intestinale. Due conti, quattro parole con Sumbu Kalambay, il suo allenatore sul ring, e l’affare è fatto. Vengo, ha risposto lui che pesa 109 chili, contando solo su due settimane di footing. Quattro giorni per scambiare un po’ di botte con un massimo friulano raccattato in fretta e furia, il tanto per ritrovare il colpo d’occhio, provare la potenza dei colpi.
Follia sulle orme dei pugili di una vita fa, quando la boxe era terra di nessuno: vinceva e resisteva il più forte. La boxe dei perdenti di Fat City, facce prese a botte per una bistecca. Ma anche la boxe dei vincenti come Henry Armstrong, capace di difendere il titolo mondiale dei welter quattro volte nel giro di 15 giorni, due volte nel giro di tre giorni. La boxe di Rocky Graziano e di tutti gli italiani piccoli, brutti e affamati che sfidavano le montagne pur di incassare qualche dollaro. La boxe dei disperati che vagavano nelle palestre e nei gym di New York, disponibili ad affrontare due avversari nella stessa sera. La boxe che ricorda ancora Lamar Clark, l’americano folle che, nella notte del 1° dicembre 1958, mise ko sei avversari uno dietro l’altro, cinque al primo round.
Questa e altre mille sono le storie di pugni e di necessità: l’unica scappatoia concessa a Tyson per pagare i debiti al fisco, così come a Joe Louis e molti altri. Gli euro di Vidoz non saranno così tanti. Lui è un cenerentolo, un inespresso cacciatore di dote. Però questa notte di follia, in cui ha riesumato la conchiglia paracolpi che usò a Sydney («per la buona stella»), servirà per le fortune di famiglia. «Prenderò il tanto per mettere il tetto all’osteria che sto rimettendo in piedi nel mio paese». Solo il tetto? Forse anche la mansarda. Ecco, cos’altro può volere il pugile che si è presentato in Germania con allenatore, moglie, e un amico, ovvero con quella che chiama la compagnia della sagra del prosciutto.

Ma sul ring non basta essere un buongustaio.

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