Sulla 93 dentro la Milano del Sapere Cultura, architettura, storia: Città Studi è una delle zone più ricche e frequentate ma anche meno conosciute Si respira il valore della conoscenza fra grandi edifici residenziali che si alternano a villini e sedi u

Oggi il nostro percorso prevede un viaggio lungo la linea filoviaria 93, che comincia nel punto in cui viale Omero si diparte dalle vie Ravenna e San Dionigi e, seguendo un percorso quasi rettilineo, attraversa da sud a nord tutta la parte orientale di Milano, toccando due zone «difficili della città» - sulle quali peraltro ci siamo già soffermati - ossia Corvetto e Calvairate, per entrare, dopo Corso XXII Marzo, in una zona cittadina più tranquilla e decorosa. Giunto in prossimità di piazzale Susa, il filobus piega nella tranquilla via Sismondi per riprendere poi la direzione originaria sud-nord lungo le vie Lomellina, Aselli, Ponzio e concludere la sua corsa alla stazione di Lambrate.
Fino a poco tempo fa, da Lambrate la 93 piegava in via Pacini e, raggiunto piazzale Piola, riprendeva la prima direttrice fino a piazza Argentina (Loreto) dove concludeva la sua corsa. Una bella fetta di Milano, insomma: non uno spicchio, ma un settore, come quelli che, come me, preferiscono mangiare la pizza tagliando prima i bordi.
In effetti, un bordo consistente, generoso di Milano si offre ai nostri occhi curiosi percorrendo questa linea che tocca zone di conflitto e di sofferenza sociale ma anche di possibile redenzione sociale (il già citato Nocetum, che sorge al capolinea sud della 93), zone di dolore (Istituto dei tumori, istituto Besta), i grandi flussi quotidiani (dalla stazione di Lambrate, usata soprattutto dai pendolari, a Loreto, che è la grande porta di nordest). Ma soprattutto la linea 93 abbraccia - specie nel suo percorso originario - una delle zone più belle di Milano, una zona misconosciuta nonostante sia frequentatissima: la Città degli Studi. Ed è tra le vie e le piazze che la compongono che ho concentrato, questa volta, tutta la mia attenzione.
La nostra passeggiata si snoda dunque quest’oggi dalla periferia della Città degli Studi per giungere fino al suo centro civile, sociale, culturale e anche, come si vedrà, religioso. Il punto più meridionale di Città Studi è costituito idealmente da due grandi edifici residenziali posti in Piazza Guardi all’inizio di via Colombo. La mescolanza di superfici piane, tonde e oblique introduce a un gusto che stacca rispetto a quello degli edifici circostanti, che presentano del resto una certa eterogeneità: dai diversi quartieri di edilizia popolare che danno su via Aselli e viale Argonne alla classica edilizia decorosa, con molte decorazioni, che è la cifra «media» della nostra città.
Con via Colombo ha inizio un nuovo pezzo di città caratterizzato da edifici popolari inframmezzati da case più piccole, di origine operaia, oggi pregiatissime, villini con giardino destinati un tempo ad abitazione di qualche accademico e edifici universitari frammisti a laboratori. Le sedi universitarie sono tra le opere architettoniche più belle di Milano, e ci raccontano di una Milano laica e positivista, pervasa da una commovente stima e fiducia negli uomini e nella loro capacità di conoscere e operare.
Il quartiere, infatti, abbraccia la città studentesca e quella della cura, la città della scienza e quella in cui la scienza si trasforma in beneficio per la vita umana di tutti i giorni. Un progetto urbanistico serio si basa su una precisa idea dell’uomo e della storia: e Città Studi deve proprio a questo, e non all’ingegnosità degli architetti o degli urbanisti, la propria riuscita. L’architettura infatti non è che un’opera di traduzione (come tutte le arti e la letteratura) di una certa idea dell’uomo. La grande architettura è sempre un’antropologia, e deve la propria forza alla fondatezza del proprio assunto: se regge l’idea di uomo, se la sua lettura della condizione umana dentro un preciso contesto spazio-temporale è esatta, allora anche l’architettura, per quanto bizzarra, reggerà il confronto col tempo.
Passeggiando per Città Studi percepiamo la stima profonda che i suoi costruttori nutrivano per il sapere umano: che va coltivato non già in edifici anonimi, in corridoi sudici, in aule sordide (oppure inutilmente sfarzose), in studioli angusti, ma in spazi belli, dove chi studia e chi insegna possano percepire sempre che la consistenza di quello che fanno è un rito, una celebrazione. Studiando e trasmettendo la conoscenza, noi celebriamo - questo sembrano dire gli edifici di Città Studi - il rito del Sapere.
Questa profonda serietà porta con sé, come sempre accade a Milano, uno strascico di bellezza: perché a Milano il Bello è sempre una conseguenza, il riverbero di un’azione che non cerca il Bello per sé stesso, ma lo ottiene attraverso il proprio amore per la conoscenza, per il lavoro, per il costruire, per il curare. Da via Colombo attraverso le vie Moretto, Botticelli, Mangiagalli ci avviciniamo a Piazza Leonardo da Vinci, deviando e poi riprendendo il cammino, un po' sostando e un po’ tornando ma senza perdere di vista la direzione giusta: proprio come fa la scienza, che visita il palazzo dell’Universo esplorandone, fin dove può, stanze, corridoi e cunicoli, passaggi segreti e saloni di rappresentanza che spesso, però, nel loro sfarzo nascondono messaggi destinati a pochi.
Tre edifici colpiscono la nostra immaginazione per le loro dimensioni, la loro bellezza e l’urgenza di un’opera di restauro. Il primo è il palazzo destinato alla Facoltà di Scienze, il secondo - oggi in forze al Politecnico - è il cosiddetto «Cremlino», che domina il paesaggio di Città Studi con i suoi inquietanti pinnacoli, mentre il terzo e più importante è l’edificio del Politecnico, in piazza Leonardo, autentica cattedrale della nostra città al pari del Duomo e della Stazione Centrale. Il Politecnico è infatti non una delle università cittadine: è «la» scuola, è l’università per eccellenza della nostra città, quella che rappresenta compiutamente lo spirito insieme umanistico e scientifico, l’appetito di conoscenza fattiva così tipico della cultura milanese.
Girando intorno a questi edifici, entrando nei cortili e sbirciando qua e là, esaminando le facciate, i frontoni, le decorazioni è facile cedere allo sconforto. Le esigenze di ampliamento dei locali, la nascita dell'Università di Massa hanno prodotto superfetazioni di ogni genere, disturbando profondamente l’armonia di quelle architetture.
Non sono un passatista, ma qui non è questione di ritorno al passato. Il fatto è che non si può sfigurare il senso di un'istituzione come l’Università solo in nome dei numeri (iscrizioni, debiti, crediti, test ecc.) e di un diritto allo studio che non viene affermato come valore ma solo come grimaldello per la conservazione di determinati poteri.
La marginalità dell’istituzione universitaria rispetto alla vita culturale del paese è un dato drammatico se si pensa che niente potrà mai sostituire l'Università come asse centrale capace di dare continuità alla nostra civiltà: per la trasmissione alle generazioni future del sapere che abbiamo ereditato e per la formazione di una classe intellettuale e dirigente vera, di uomini insomma in grado non solo di commentare un sonetto di Dante, fare un’equazione o assegnare un appalto, ma di assumersi la responsabilità del futuro.
Gli studenti lo sanno bene: è in gioco il futuro.

Ma non soltanto, aggiungo io, il loro sacrosanto bisogno (detesto moltiplicare la parola «diritto») a un lavoro degno di questo nome, ma il futuro di tutta la nostra civiltà, che con un sapere strumentale, senza cuore, senza ordine e senza bellezza non potrà certo continuare la propria grande avventura. E gli arabi e i cinesi non c’entrano proprio: anzi, ben vengano, se sapranno aiutarci a vincere il collasso verso il quale da molti anni ci stiamo dirigendo.

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