Sulla Sacra Sindone nessuna certezza arriva dalla scienza

Gentile Granzotto, leggendo quotidianamente Il Giornale ho occasione di apprezzare le sue profonde conoscenze storiche, e vorrei chiederle pertanto un parere sul problema della Sindone in questi giorni di Ostensione. Io ricordo di aver letto anni fa un libro di Knight e Lomas dal titolo Il secondo Messia edizioni Mondadori, in cui si sosteneva con prove apparentemente razionali la possibilità di dimostrare l’origine del «misterioso» telo. Lei potrebbe chiarirmi se trattasi di una pubblicazione romanzata del tipo Dan Brown o c’è del vero? E perché da quanto ho visto in varie trasmissioni tv non se n’è parlato? La ringrazio anche per le sue quotidiane risposte interessanti e ricche di ironia.
Milano

Del volume di Knight e Lomas non so molto, caro Fava. Gli diedi solo una leggiucchiata, quanto bastò per non farmelo piacere, come del resto tutti i libri che con pretese storiche ricostruiscono e svelano misteri, rivelano sedicenti verità nascoste in riti e documenti esoterici con abbondanza di secondi e terzi Vangeli, secondi e terzi Messia, sacri Graal a destra e a manca, Arche sante e discendenti diretti di Gesù. La tesi sostenuta da Knight e Lomas è che la Sindone non ritrae il Cristo, ma Jacques de Molay, l’ultimo Grande Maestro dei Templari dapprima torturato e quindi nel 1314 condannato al rogo, da un tribunale voluto da Filippo il Bello, per eresia e idolatria. Cosa vuole che le dica? Storicamente il Sudario entrò in scena nel 1353, allorché Goffredo di Charmy, un uomo d’armi che trovò la morte della battaglia di Poitiers, lo donò ai canonici di Lirey, nelle Ardenne. Prima d’allora, solo dei «si dice», dei «si racconta», dei «si tramanda». Dopo di allora, e dunque da sei secoli e mezzo, una serie ininterrotta di dispute sull’autenticità della Sindone e sull’identità del personaggio che ne traspare. Con da una parte la Chiesa che da principio rifiutò di assegnare lo status di reliquia, ritenendola una icona molto ingegnosamente dipinta e che solo nel Cinquecento ne autorizzò la pubblica devozione, senza però prendere decisamente posizione sulla sua autenticità, ma designandola oggetto di culto.
Delle controversie laiche e scientifiche, poi, non ne parliamo. La famosa prova di datazione con la tecnica del carbonio 14, quella che come si dice doveva tagliar la testa al toro e in base alla quale la Sindone dovrebbe collocarsi fra il 1260 e il 1390, è stata come sappiamo messa in discussione. Parrebbe infatti che il campione prelevato per le analisi non provenisse dal vero e proprio lenzuolo funebre, ma da un rattoppo eseguito in età medievale, ciò che avrebbe falsato la datazione. Una circostanza che naturalmente fu smentita, e la smentita rimessa in discussione dal ritrovamento, tra le fibre del telo, di pollini risalenti a duemila anni fa. Ora, e per tornare a bomba, caro Fava, il lavoro di Knight e Lomas, Il secondo Messia, non mi par proprio che aggiunga qualcosa a quanto già si sa e non si sa sulla Sindone. Ne offre - con pretese storiche che sconfinano nel ridicolo - una interpretazione intrigante, avventurosa (e fin qui va bene) ma anche, ma sopra tutto fantasiosa. Sostenere che quella della Sindone è l’immagine dell’agonizzante (non del cadavere: purtroppo per Knight e Lomas i resti carbonizzati di chi è morto sul rogo non possono conservare barba e capelli fluenti) e malconcio Jacques de Molay ricomposto, amorevolmente avvolto in un telo, adagiato su dei cuscini da un altro templare di rango, sa di presa in giro.

Figuriamoci se nel pieno della sua furiosa, implacabile mattanza dei templari quel tipino di Filippo il Bello, avrebbe consentito a de Molay di prendersi una boccata d’aria e al templare che lo accudì d’essere in vita. La Sindone, caro Fava, è quella che ciascuno di noi crede che sia. Tutto il resto è (cattiva) letteratura.

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