Da almeno sei mesi l’Ungheria è una bomba finanziaria sul punto di esplodere. «Farà la fine della Grecia», si diceva all’inizio di giugno davanti allo sfaldarsi del trucco che occultava il deficit e alla prospettiva di una bancarotta sovrana. «Farà la fine dell’Irlanda», si dice ora che la scure di Moody’s è calata sul debito di Budapest, declassato in un sol colpo di due tacche, da «Baa1» a «Baa3». Un gradino sotto, e si spalanca la terra desolata del junk, i titoli spazzatura. Ipotesi tutt’altro che remota: l’outlook negativo è stato mantenuto. All’agenzia di rating Usa non sono piaciute le misure anti-disavanzo implementate dal governo magiaro, giudicate temporanee e non degne del necessario consolidamento fiscale. Di recente, le stesse perplessità erano state avanzate dal Fmi, che lo scorso anno ha staccato un assegno da 20 miliardi di euro a favore del Paese.
L’Ungheria è una piccola nazione incastonata nel cuore orientale dell’Europa, con appena 10 milioni di abitanti e un Pil attorno ai 100 miliardi di euro, meno della metà di quello irlandese. Inoltre, non appartiene al club di Eurolandia. Eppure, come accaduto ieri, periodicamente mette a dura prova le coronarie dei mercati. A parte i timori di un effetto contagio della crisi del debito sovrano che un taglio del rating alimenta (i credit default swap sono tornati a livelli di guardia), la reazione è la diretta conseguenza degli interessi economici di molte imprese europee in terra ungherese. A cominciare da alcune delle nostre banche. L’ad di Unicredit, Federico Ghizzoni, ha appena annunciato l’intenzione di inaugurare 120 filiali in Ungheria, nell’ambito del piano che prevede l’apertura di circa 900 sportelli nei Paesi dell’area Central&Eastern Europe nei prossimi cinque anni. L’istituto di Piazza Cordusio continua dunque a credere nelle potenzialità dell’Ungheria, dove peraltro è già presente con 135 sportelli attraverso il controllo della settima banca del Paese. Sulla base dei risultati degli stress test condotti a luglio e pubblicati dalla Banca d’Italia, Unicredit aveva un’esposizione netta nei confronti del Paese dell’Est Europa di 1,535 miliardi di euro (1,486 miliardi di portafoglio creditizio). I titoli di Piazza Cordusio sono così scesi del 2,8%, tenuto conto anche della forte presenza di Unicredit in Austria, le cui banche sono legate a filo doppio con quelle ungheresi. Analoga la perdita di Intesa Sanpaolo, esposta per circa 430 milioni, dato, quest’ultimo, in calo rispetto a quanto emerso dagli stress test.
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