da Milano
Adesso mica si può far finta di nulla. Se da oggi le nuove canzoni dellalbum Bau di Mina, dicesi la grande Mina e non un pivello qualsiasi, si possono ascoltare prima su di un cellulare (i Nokia N70, N73 e N91 black edition) e solo tra una settimana su regolare ciddì, allora qualcosa è cambiato davvero. Non la musica, né lartista. Si è trasformato il modo di ascoltare e i supporti per farlo sono cambiati con una tale velocità che tra pochi anni il compact disc, lagognato, contestato, carissimo ciddì sarà come i vinili dei bei tempi: un pezzo di memoria. Addio.
«Nel mondo tutto cambia in fretta e fa paura» come canta Andrea Mingardi nel duetto del brano Mogol/Battisti che apre questo nuovo album di Mina, puntuale e atteso come il Natale, pasciuto e nutriente come ormai pochi altri riescono ad essere. E così ieri allora di pranzo, in un ristorante che per casuale e indovinata allusione si chiama Nectar, Massimiliano Pani ha spiegato il nuovo volto di sua mamma mentre in sottofondo correva la voce, inarrivabile. «Mina ascolta tutto ciò che le arriva e sceglie i pezzi che le piacciono di più a seconda del momento». E in questo momento, a piacerle sono gli otto brani che per lei ha composto Andrea Mingardi, cantautore che, nella sua nicchia di blues e lambrusco, sè addottorato di musica e ora ne sa cantare, oltre che parlare. «Questo album è una chiacchierata tra i due alberi del jazz e del rock, in mezzo ai cespugli della melodia, del soul e della vocalità di Mina che, quando canta, non canta e basta ma spalanca delle possibilità per chi ama la musica quando non è di plastica».
Se la gode come un bambino, lui, questa gloria esplosa quasi per caso, gli occhi brillano e la soddisfazione vela ogni gesto. «Un giorno Mina mi ha chiamato dicendo che aveva ricevuto una cassetta che le sembrava mia. Io me ne ero completamente dimenticato, così lei me lha fatta ascoltare al telefono e io mi sono riconosciuto, anche se le parole erano finte: cantavo in inglese maccheronico. Poi me lha spedita e ho potuto scrivere i testi definitivi, sette dei quali sono stati completati con Maurizio Tirelli». Alla fine, Bau è un gioiello di pop come si deve, cantato da maestro e addomesticato dalla grande lezione del rhythmnblues e del funky, quella che rifiuta le tastiere e preferisce i fiati, i suoni caldi, sereni e, se deve rabbuiarsi, lo fa con lo stile vintage della mini rock opera Datemi della musica, che non per caso arriva alla fine.
Mina si è fatta pop per Bau e forse, come si sente dire qui, il suo sogno rimane ancora quello di cantare con unorchestra da seguire, corteggiare, dominare. E basta ascoltare lassolo soffuso di chitarra in Johnny scarpe gialle o linarrivabile resa vocale di Mina in The end, istrionica come in altri tempi eppure attualissima, per laureare queste canzoni come le sue migliori da tempo. Daltronde, a lei serve soltanto il «Sono qui» di un Un uomo che mi ama, così pastoso dolce toccante, per tornare, senza neppure tanto clamore, su quel trono che ormai nessuno prova più a toglierle. Certo, cè chi come Mingardi le rende omaggio in modo scherzoso: «Cantare con lei è come correre il Tour de France tenendosi dietro Lance Armstrong senza neanche pedalare». Oppure chi, come suo figlio Massimiliano, si fa sfuggire en passant che «Mina nei Paesi sudamericani è un mito. Questanno cè un musical su di lei che dallArgentina ha fatto il giro del mondo, ma anche molte altre cantanti di quelle zone seguono il suo stile». E allora ecco che allorizzonte immediato cè un disco pensato per il mercato latino, zeppo di cover inedite, cantate in spagnolo con qualche ospite sudamericano. Uscirà nel 2007, forse affiancandosi a un altro, dedicato a sole ballate «che Mina ha già iniziato a scegliere».
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