Il supercantiere ha avvelenato l’acqua di Milano

MilanoUn quartiere al veleno. Un pezzo di Milano dove migliaia di case sono state costruite sui rifiuti tossici, senza nessuna bonifica, e dove la falda acquifera è stata avvelenata. Un cantiere dove i camion hanno continuato per mesi a riversare, a ridosso delle case, tonnellate di rifiuti a rischio provenienti da chissà dove che si sono andati ad aggiungere ai veleni che si erano sedimentati nei decenni in cui a Rogoredo si producevano l’acciaio e i solventi. E che, al momento di costruire case al posto delle fabbriche, si è solo fatto solo finta di ripulire.
È questo il crudo ritratto che l’ordinanza del giudice milanese Fabrizio D’Arcangelo fa del quartiere Santa Giulia, periferia sud-est del capoluogo lombardo. Il cantiere viene sequestrato, la Finanza mette i sigilli. La notizia della falda avvelenata, rimbalzando dai telegiornali e dai siti internet, scatena a Milano una psicosi di massa, con centinaia di chiamate ai centralini di gente che - da un capo all’altro della metropoli - smette di bere acqua del rubinetto. E i responsabili dell’acquedotto hanno un bel daffare a spiegare che i giudici hanno sbagliato, e che le falde usate per l'acqua potabile stanno molto più in basso di quelle al cadmio e al cromo.
Non c’è pericolo, giurano i responsabili, e c’è da augurarsi che sia vero. Ma restano la disinvoltura e l’assenza di controlli con cui i veleni sono stati nascosti come polvere sotto il tappeto. E surreale è che tutto ruoti intorno a quello che doveva essere un fiore all’occhiello della riconversione della città, della restituzione all'edilizia, al verde e ai servizi delle grandi aree occupate dalla Montedison dalla Radealli. A firmare i palazzi di Santa Giulia vennero grandi architetti, in testa a tutti il celebre Norman Foster. Sky ha già trasferito qui il suo quartiere generale, e le grandi antenne paraboliche svettano contro i palazzi e le gru. Doveva essere un quartiere modello, nei piani del costruttore rampante Luigi Zunino. Si è trasformato in una operazione criminale i cui responsabili vengono ora chiamati in causa per una sfilza di reati: il più grave, «avvelenamento di acque pubbliche», è punito dal codice con pene «non inferiori a quindici anni».
L’intero cantiere, dove accanto ai palazzi già ultimati dovrebbero sorgerne altri, è stato posto sotto sequestro, per impedire che altre case sorgano, e altre famiglie vengano portate a vivere sopra i veleni: come le altre famiglie che qua già vivono, e che in queste ore guardano con angoscia a quanto sta emergendo dall’indagine. Le sostanze individuate, dice l’ordinanza, «sono cancerogene, sono pericolose per l’ambiente e mettono a rischio la fertilità nonchè possono provocare danni ai bambini non ancora nati». Nelle falde sotto Santa Giulia, i valori hanno raggiunto il quadruplo del massimo tollerabile.
Nella storia di Santa Giulia - così come l’hanno ricostruita i pm Laura Pedio e Gaetano Ruta - si incrociano economia, politica, malavita. Le colpe principali vengono attribuite agli imprenditori: in particolare Luigi Zunino, costruttore emergente, poi travolto dai debiti con le banche, che oggi sono le vere proprietarie dell’area. È sotto la regia di Zunino che si è deciso di costruire non solo senza bonificare, ma anche peggiorando la situazione, utilizzando l’area come discarica abusiva: a ridosso di quello che doveva essere un parco pubblico, è stata alzata una muraglia di detriti, amianto compreso. Complice di Zunino, Giuseppe Grossi, il «re delle bonifiche ambientali», finito in carcere nei mesi scorsi per una colossale truffa al fisco: da cui, purtroppo per lui, la Procura è ripartita per analizzare il caso Santa Giulia. E poi Claudio Tedesi, superesperto, consulente delle amministrazioni pubbliche di tutta Italia, e complice anche lui del disastro.

Ma nell’inchiesta compaiono anche due nomi che portano verso il mondo della malavita organizzata: sono gli amministratori della Lucchini e Artoni e della Edilbianchi, le due imprese incaricate degli scavi, e già indicate in un rapporto della Dia come colluse con le imprese dei clan.

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