La superpotenza con un’economia ancora primitiva

Mosca-San Pietroburgo, le due capitali che si sono alternate negli ultimi cinquecento anni, rappresentano un compendio perfetto della storia russa. Nella prima è nato all'inizio dell'era moderna l'imperozarista, dopo una parentesi di oltre 200 anni si è insediato il potere sovietico, che qui è poi crollato nel 1991 per lasciare il posto alla nuova Russia «democratica». La seconda, fondata da Pietro il grande, è stata teatro dei fasti imperiali dal 1703 al 1918, ha dato vita alla rivoluzione bolscevica, si è trasformata per ottant'anni in Leningrado ed ora, pur essendo solo la seconda città del Paese, è la patria di Putin e di buona parte della nuova nomenklatura. Le due città non potrebbero essere più diverse: Mosca è una città continentale, un po' caotica e piena di stranieri, nata quasi come un avamposto dell'Europa verso l'Asia, San Pietroburgo una città marittima chiaramente proiettata, sia nei suoi costumi, sia nella sua struttura architettonica, verso l'Occidente. Ma le due sono anche complementari, nel senso che la Russia ha avuto, ha ed avrà sempre bisogno di entrambe. Visitarle una dopo l'altra, con l'intermezzo di una crociera fluviale che attraversa terre cariche di storia, sarà una esperienza affascinante, tanto per chi le ha conosciute ai tempi dell'Unione Sovietica e potrà valutare i grandi cambiamenti intervenuti da vent'anni a questa parte, sia per chi le vedrà per la prima volta.
La Russia del 2010 è un Paese pieno di contraddizioni, che dopo 70 anni di comunismo non ha ancora trovato la sua strada. Formalmente è uno Stato federale di tipo occidentale, con un presidente eletto dal popolo che nomina il governo, un Parlamento che fa le leggi e garantisce i diritti politici e civili, tante repubbliche con un elevato grado di autonomia. In realtà, dopo i turbolenti anni di Eltsin, è tornata a subire una involuzione autoritaria e centralista: i governatori non sono più eletti ma nominati da Mosca, la libertà di stampa è relativa, il potere giudiziario troppo dipendente da quello politico. Una evoluzione simile è avvenuta in economia: al capitalismo selvaggio degli anni Novanta, frutto di privatizzazioni spesso truccate, è seguito un graduale ritorno all'economia di comando, che tuttavia ha lasciato spazio a un certo numero di oligarchi fedeli al regime che non a caso figurano tra gli uomini più ricchi del mondo. Accanto a una nuova borghesia piena di soldi - quella che vediamo impazzare da Rimini a Montecarlo, da Dubai alla Costa Brava e che è stata la forza trainante della trasformazione delle città - oggi carissime anche sul metro occidentale - ci sono soprattutto nelle campagne decine di milioni di poveri, una parte dei quali tuttora nostalgici del comunismo e dell'ordine che garantiva. Anche se Putin, che proviene dal KGB, ha cercato di imporre un giro di vite, oggi c'è molta corruzione, molta criminalità, e un alcolismo dilagante.
Anche se i tempi dell'URSS, del patto di Varsavia e della espansione nel Terzo mondo sono lontani, la Russia aspira ancora al rango di superpotenza e lo rimane nel campo dell'armamento nucleare.

Ma la sua economia è relativamnente primitiva, nel senso che è basata soprattutto sulla esportazione di materie prime, petrolio e metano in primo luogo, e di una certa quantità di materiale bellico. Per il resto, molto poco, anche perché l'incertezza del diritto spaventa gli investitori stranieri. E, sul medio e lungo termine, il futuro è a dir poco grigio.

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