Se ne sono andati come sono arrivati. Senza dire una parola. Robert e Jennifer hanno lasciato la loro casetta di Leighton Buzzard, nel Bedfordshire, come partissero per le vacanze e non sono tornati più. Il giorno dopo erano nella stessa bara, mano nella mano, come li vedevano i vicini, tutti i giorni. Lui, 59 anni, soffriva di epilessia, lei, sei anni meno, di artrite. Non avevano mali senza speranza se non quello di vivere, non avrebbero mai potuto andare avanti l’uno senza l’altra. «Spero solo abbiano trovato quello che cercavano» è stato l’addio della figlia. Se ne vanno in tanti da qui, Zurigo, Svizzera, ognuno alla sua maniera, ognuno con le sue malinconie. Maia Simon, francese, che è stata attrice, bella, luminosa, desiderata, ha salutato tutti con un'intervista radio trasmessa da Rtl, per dire che sì, certo, un po’ le dispiaceva andare via così «ma io ero una nomade, sempre in viaggio, se non ho più questa libertà per me in fondo è come essere già morta». Anne Turner invece ha preferito far filmare le sue ultime ore da una troupe della Bbc, accanto ha voluto i suoi tre figli. Voleva spiegare, giustificarsi forse: «Ho visto cos’è successo a mio marito e non voglio finire così, o come l'attore Dudley Moore: non poteva più né parlare, né fare l'occhiolino». Dave Richards, saldatore, 61 anni, ha voluto fare l’ultimo viaggio con l’amico Michael, medico della mutua in pensione, solo per dividere con lui un pranzo con i fiocchi, prima di andare via. Ha scelto la morte prima che il terribile morbo di Huntington glielo impedisse. Non credeva ci fosse un aldilà.
Sono tanti. Vengono in Svizzera per morire, prigionieri di malattie incurabili o degenerative, senza dubbi, senza pentimenti, mettono fine ai loro giorni in un piccolo appartamento di Zurigo affittato da Dignitas, associazione per l'assistenza al suicidio, e nessuno ha il biglietto di ritorno. L’eutanasia è illegale, ma non è reato dare una mano a chi vuole morire. A Zurigo si viene per morire in pace, senza disturbare nessuno. Ma agli svizzeri questo andirivieni non piace più.
La ministra della Giustizia Eveline Widmer-Schlumpf vuole mettere un freno al «turismo della morte». Un freno, non uno stop. Chi vuole suicidarsi, dice, adesso dovrà rispettare un tempo d’attesa, troppo comodo morire il giorno dopo essere arrivato: «Questo non deve più accadere». Prima dell’inevitabile, ammesso che lo sia, dovrà essere fissato un tempo minimo, una pausa di riflessione, che eviti le azioni impulsive, come se chi viene qui non ci avesse già pensato abbastanza.
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