La svolta negli uffici pubblici: controlli e lotta ai fannulloni

Le riforme dell’ex ministro Brunetta hanno lasciato il segno nel lavoro quotidiano di enti e amministrazioni statali. Con maggiori controlli e certificati online assenze ridotte del 32%

La svolta negli uffici pubblici: controlli e lotta ai fannulloni

Renato Brunetta è vittima di un paradosso. Prima accusato ­soprattutto a governo appena in­sediato - di essere troppo visibile e di fare una politica tutti annun­ci, poi condannato-ora che l’ese­cutivo Berlusconi non c’è più così come la sua carica da ministro - a vedere realizzati i suoi progetti da altri, con poche speranze che qualcuno gliene renda conto, se non, forse, i manuali di diritto. È anche vero che i frutti non li coglie­rà un estraneo. Il ministro della Pubblica amministrazione del go­verno Monti, Filippo Patroni Grif­fi, è stato anche il suo capo di gabi­netto. E la scelta non sembra ca­suale. C’è da applicare una mole di provvedimenti, dove la riforma della pubblica amministrazione vera e propria occupa una parte importante, ma non è esclusiva.

Ma già in questi giorni- raccon­tano lettori - è capitato di sentire negli ospedali lodi ai benefici del certificato elettronico, con il meri­to attribuito all’esecutivo appena insediato. Eppure questa è una delle riforme di Brunetta che han­no fatto sentire da subito effetti concreti e misurabili. La certifica­zione de­lle malattie dei dipenden­ti pubblici devono essere trasmes­se via telematica dal gennaio 2010. Nel giro qualche mese sono stati trasmessi circa 9,5 milioni di certificati. «Almeno nove medici di medicina generale su dieci usa­no abitualmente il nuovo sistema di trasmissione online». Missio­ne compiuta anche nel privato, dove il nuovo sistema è in vigore dal dicembre 2010 e la quota del cartaceo inviato all’Inps si è ridot­ta a una percentuale residuale. So­lo il 2% dei certificati classici, tutti gli altri arrivano per via telemati­ca.

C’è chi scommette che con l’uscita del ministro economista alla fine si troverà il modo di torna­re indietro sulla prima campagna che avviò appena entrato a Palaz­zo Vidoni, quella sulla trasparen­za. Curriculum, retribuzioni e consulenze, tutte online nei siti dei ministeri, degli enti pubblici e delle amministrazioni locali - an­nunciò il ministro veneziano nel 2009. Oggi sembra quasi norma­le, ma tre anni fa fu bollata come una gogna qualunquista. L’unica gogna Brunetta l’ha imposta vo­lontariamente a chi non ha forni­to i dati, svergognato da comuni­cati stampa a cadenza fissa. An­che in questo caso i risultati si so­no fatti sentire. Già nel 2009 erano online circa 300mila consulenze esterne alla pubblica amministra­zione, per un valore di 1,4 miliar­di. Nessuna condanna da parte del ministro Pdl. Anzi, la tesi di Brunetta è che le consulenze ser­vano e che semmai gli eccessi del­l’antipolitica a fare danni. Ma l’operazione trasparenza l’ha av­viata comunque. Lo si deve a lui se si è scoperto che ci sono ammi­nistrazioni locali che pagano stu­diosi di lupi per ululare nei boschi e altre chicche del genere. Traspa­renza anche sulle partecipazioni pubbliche. Brunetta ha scoperto un ginepraio pubblico privato sul quale ha fornito dati, sempre sen­za esprimere giudizi: «La PA parte­cipa a 2.365 consorzi e 4.741 socie­tà con 24.713 rappresentanti ne­gli organi di governo». Per ora la «operazione trasparenza» regge. Con questo esecutivo sembra al sicuro; in futuro chissà.

L’ex ministro della funzione pubblica ha legato il suo nome al­la guerra contro l’assenteismo nello Stato. Principalmente disin­centivi economici ed in­asprimen­to dei controlli medici per i dipen­denti pubblici in malattia.

La ridu­zione delle assenze registrata, al febbraio 2011, era del 32%, che ­ha calcolato il ministero - «corri­sponde a 65 mila dipendenti al­l’anno in più. Siamo riusciti - è sta­to il commento di Brunetta mini­stro - a portare le assenze nel pub­blico impiego su livelli fisiologici, riallineando i tassi di assentei­smo del settore pubblico a quelli del privato. È un successo che si traduce, per ogni cittadino, in una maggiore qualità e quantità dei servizi erogati da tutta la pub­blica amministrazione».

Se chiedete a un giudice un giu­­dizio su Renato Brunetta, otto vol­te su dieci non sarà del tutto positi­vo. Lo stesso ministro ha avuto modo di ricambiare, quando ri­spose a un magistrato che denun­ciava i problemi del suo tribuna­le, che sarebbe andato a verifica­re di persona il venerdì sera. Giu­sto per verificare se tutti stavano lavorando a ridosso del fine setti­mana. Eppure anche sul versante giustizia ci sono stati interventi amministrativi che hanno un po’ migliorato il disastro della giusti­zia civile per il quale siamo all’in­dice dell’Europa. Le comunica­zi­oni tematiche nel 2010 sono cre­sciute del 350% (dalle oltre 100.000 del 2009 e quasi 500.000 inviate nel 2010). Gli «avvocati te­lematici», abilitati ai processi con comunicazioni via computer so­no passati da 10mila a 23mila in un anno. Tra le eredità di Brunet­ta c’è quella delle class action.

As­sociazioni dei consumatori, sin­dacati e altre realtà associate che rappresentano interessi diffusi ­sulla base di una legge voluta dal­­l’ex ministro - possono ricorrere contro la amministrazione pub­blica. Caso classico: quando un ministero non applica la legge e così danneggia i cittadini. Lo stru­mento è stato usato, contro lo stes­so governo del quale faceva parte Brunetta.

Poi ci sono le riforme e le misu­re ancora da «pesare». La sempli­ficazione è stata impostata. Una chiave per favorire lo sviluppo co­sto zero, sfoltendo la burocrazia in quattro settori Ambiente, Pre­venzione Incendi, Privacy e Ap­palti. «Si tratta di misure che com­plessivamente daranno risparmi per oltre 2,4 miliardi di euro al­l’anno», è la stima del precedente governo. Sugli appalti e la pri­vacy, meno oneri alle imprese per altri 900 milioni.

Ultima tra le misure che porta­no la firma di Brunetta, la mobili­tà per i dipendenti pubblici. In so­stanza si prevede che le ammini­strazione possano individuare delle eccedenze di personale e metterle «in disponibilità» all’80 per cento dello stipendio. Soprat­tutto se rifiutano trasferimenti. Il tutto senza passare per i sindaca­ti.

Una sorta di cassa integrazione guadagni. Un modo per dire che il mondo del lavoro pubblico non può essere troppo diverso da quel­lo del privato. Un’altra riforma che il governo Monti e i prossimi esecutivi, si ritrovano già servita.

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