Svolta Le nuove strategie

Cinque anni di profonda crisi economica non lasciano scampo: anche le banche popolari, gli istituti che hanno fatto della servizio al territorio la propria bandiera, dovranno ricorrere a un’attenta «selezione della specie» prima di erogare mutui e prestiti a famiglie e imprese. A imporlo sono il diktat sui rafforzamenti patrimoniali pronunciato dall’Eba, l’Autorità europea del settore, e la difficoltà di macinare profitti con i tassi ridotti ai minimi e un’economia prostrata dalla doppia recessione.
Si tratta di un combinato disposto micidiale, a cui in alcuni casi si sommano problemi specifici come Bipiemme, costretta a una ricapitalizzazione d’emergenza sotto la stretto controllo di Bankitalia e ancora alle prese con la collera degli obbligazionisti, o il Banco Popolare che dopo aver chiesto uno sforzo ai soci per i guai di Italease ha deciso un profondo riassetto che coniuga la «banca unica», abbracciata per prima da un colosso come Unicredit, al federalismo.
Nel suo complesso l’industria del credito, nel 2012, non potrà che ricorrere a una politica di finanziamenti durissima. Sia perché scarseggia la materia prima, la liquidità, sia perché il «cavallo» produttivo non beve quasi più, confessa al Giornale un banchiere alla guida di un gruppo cooperativo radicato nel profondo e industrializzato Norditalia. A differenza delle precedenti crisi quando c’erano capitani d’impresa pronti a trasformare la generalizzata difficoltà dell’economia in un’occasione per guadagnare quote di mercato per affacciarsi all’estero, oggi le pmi non stanno manifestando in filiale alcuna richiesta di denaro per investire. La direzione, quasi univoca, è invece consolidare, limitare i danni in bilancio provocati dall’attesa flessione dei consumi.
Stando ai dati raccolti dall’Associazione delle banche popolari (97 gli istituti rappresentati per un totale di 9.505 sportelli e 12 milioni di clienti), ancora a tutto settembre il sistema cooperativo aveva spinto gli impieghi totali del 7,3%, rispetto all’anno precedente, a 386 miliardi (+5,1% al Nord Ovest, +6,7% al Nord Est, +17,3% al Centro, +5% nel Meridione); solo i mutui alle famiglie erano aumentati del 10,5%. Parallelamente le cooperative sono riuscite a imprimere alla raccolta un balzo dell’8% a 455,1 miliardi di euro.
L’anno prossimo, però, difficilmente sarà così. Visti i costi proibitivi della raccolta e sofferenze che assomigliano sempre più a un candelotto di dinamite con la miccia accesa e cortissima, la direzione possibile - spiega il banchiere - è una sola: ciascuna Popolare dovrà concentrare l’attenzione sulla propria area di presenza storica; perché questo significherà servire al meglio il territorio: «Staremo vicino alle imprese e alle famiglie che conosciamo da tre o più generazioni, ai Paesi dove si concentrano i nostri azionisti». Questione di radici, ma già fuori dalla provincia l’atteggiamento sarà diverso, non per paura, ma in quanto sarà l’unico modo per sorreggere le Pmi più meritevoli: «È inutile - sottolinea con una determinata amarezza - tenere in vita con la respirazione bocca a bocca imprese senza scampo». Difficile essere più chiari, con tutto quello che questo comporta in termini di costi sociali.
Non solo: la nuova corsa al territorio significa che la struttura delle cooperative sarà sempre più decentrata. Aumenterà l’influenza dei direttori territoriali e dei capi filiale perché sono quelli che meglio conoscono i clienti.

L’altra grande leva su cui agiranno le Popolari sono i dividendi, tradizionalmente generosi in quanto interpretati come un tributo all’attaccamento alla banca dimostrato dalla grande «famiglia» dei soci-clienti. Non sarà più così.

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