Svolta in Serbia, il Parlamento chiede scusa per Srebrenica

Quasi quindici anni dopo la strage del luglio del 1995, la Serbia chiede finalmente scusa per gli orrori di Srebrenica. Il Parlamento di Belgrado ha votato a larga maggioranza (127 deputati a favore sui 149 presenti, ma qualche ultrà del nazionalismo ha preferito lasciare l’aula in anticipo) una risoluzione che condanna il più orribile massacro compiuto in Europa dopo la Seconda guerra mondiale, quello di circa ottomila inermi civili di religione musulmana residenti nella cittadina bosniaca. Autore del misfatto fu il generale Ratko Mladic, comandante delle truppe della Republika Srpska (la Bosnia serba) nel contesto della criminale politica di «pulizia etnica» che negli anni Novanta trasformò il cuore della ex Jugoslavia in uno spaventoso mattatoio. Mladic è tuttora ricercato per essere tradotto davanti al Tribunale internazionale dell’Aia e c’è chi sostiene che sia già morto, mentre il suo capo politico Radovan Karadzic è stato catturato e consegnato due anni fa.
Il presidente serbo Boris Tadic ha minimizzato il fatto che nella dichiarazione approvata dai deputati non sia stata usata la parola genocidio, come denunciato non solo dai parenti delle vittime ma anche dal filo-occidentale partito liberaldemocratico, che non è parte del governo e che proprio per questo ha votato contro la dichiarazione: «Il Parlamento non si occupa di definizioni giuridiche - ha argomentato -, ma ha approvato un documento politico». Tadic, che è esponente di una parte politica moderata del suo Paese, ha anche negato che l’iniziativa sia stata presa dietro pressioni internazionali e ha sostenuto che «l’adozione della dichiarazione è una decisione del popolo serbo: la Serbia lo ha fatto per se stessa».
Sia come sia, il documento contiene concetti forti e chiari e mette fine ad anni di ambiguità del mondo politico serbo, quando non di aperto negazionismo. «Il Parlamento serbo - si legge nella risoluzione votata ieri a Belgrado - condanna con forza il crimine commesso contro la popolazione musulmana di Bosnia nel luglio 1995, così come stabilito dalla Corte internazionale di giustizia». Seguono «condoglianze e scuse alle famiglie delle vittime, perché non fu fatto tutto il possibile per impedire la strage». Il presidente Tadic aggiunge di dirsi «d’accordo con le madri di Srebrenica» sul fatto che «questo crimine deve avere il suo epilogo davanti al Tribunale dell’Aia: la Serbia vuole (come a lungo richiesto dall’Europa, ndr) trovare e arrestare i responsabili, soprattutto il generale Mladic», che sarebbe latitante proprio in Serbia, dove godrebbe tuttora dell’appoggio di ambienti militari ultranazionalisti, gli stessi che proteggevano Karadzic.
Il significato politico del gesto del Parlamento serbo è evidente e Tadic ha qualche buona ragione per sostenere che «oggi è un grande giorno per la Serbia, che ha dimostrato di avere la forza per qualificare quello che è successo come crimine di guerra». Ciononostante - e anche questo è ben comprensibile - le associazioni dei familiari delle vittime di Srebrenica non sono disposte a credere alla buona fede dei politici di Belgrado. Ciò che è uscito dal Parlamento serbo, ha detto la presidente dell’associazione delle Madri di Srebrenica, Hatidza Mehmedovic, non è «nient’altro che un pezzo di carta e lo ha fatto unicamente per ottenere il via libera dell’Unione Europea. Le vittime della strage non ottengono nulla da questo documento, che non dice nemmeno che si è trattato di un genocidio».


È un fatto che il governo serbo si è sforzato in questi ultimi anni di andare incontro alle aspettative dell’Onu e dell’Europa riguardo agli orrori della pulizia etnica degli anni Novanta: non solo consegnando Karadzic, ma anche processando centinaia di persone per crimini di guerra e soddisfacendo quasi tutte le richieste di assistenza giunte dal tribunale dell’Aia. Che poi questo sia stato fatto senza un secondo fine, resta opinabile.

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