Silvio Berlusconi, evidentemente ben consigliato, ha battuto un colpo. Ha preso carta e penna e ha scritto una lettera pubblica sul Corriere della Sera . Ha cercato di sganciare il governo e il Parlamento dalla rissa continua. In sintesi ha detto che ci vuole una «frustata al cavallo dell’economia » per ridurre il debito pubblico. Cosa tutto sommato scontata. Per l’ennesima volta ha bocciato ogni ipotesi di imposta straordinaria. Ma ha anche aggiunto che la strada è quella delle liberalizzazioni: delle professioni, delle imprese, delle tasse.
Ha convocato un Consiglio dei ministri per iniziare a mettere sul tavolo un po’ di concretezza. Il premier ha fatto un passo in più: ha chiesto all’opposizione, a Pier Luigi Bersani, una condivisione sulle cose da fare. Nessun inciucio. Un’intesa per rimettere in moto la macchina che produce ricchezza, in panne da anni. Il Cav con questa mossa ha inchiodato la sua agenda politica a degli impegni precisi. Le liberalizzazioni non hanno un costo fiscale: sono pura volontà politica. Non c’è alibi che tenga, a questo punto, nel non farle.
È un peccato che Bersani abbia subito risposto con un insulto alla proposta di Berlusconi. A voler pensare male, avrebbe contribuito a svelare un potenziale bluff (liberalizzare non è indolore). A pensar bene avrebbe continuato su un percorso di apertura dell’economia di cui lo stesso Bersani, con le sue parziali lenzuolate, si vende come precursore. È altrettanto singolare che la prima reazione della politica (anche di alcuni suoi compagni di partito) sia stata quella di leggere l’uscita del Cavaliere come una pura mossa tattica per smarcarsi dal recente caso Ruby. Importa poco per quale motivo Reagan e Thatcher ( quest’ultima si è organizzata una lontana battaglia per rimanere in sella) abbiano liberalizzato il proprio Paese: il punto è che l’hanno fatto. Ruby come le Falkland.
Lo sputtanamento passerà, un mercato più libero ce lo terremo. Adesso al premier non resta che andare avanti. Ascolti quel rompiballe liberista di Marco Pannella e tiri dritto. Dimostri che una frustata questo governo la sa dare, oltre che all’economia, anche alla sua indolenza liberale. Sappia dimostrare che è in grado di valere non solo in confronto ad un’opposizione inesistente, ma anche in virtù di ciò che realizza. Il dividendo politico dei conti in ordine (pur avendo aumentato spesa pubblica e gettito fiscale) è una medaglia già troppo lustrata.
È necessario continuare sulla strada della riforma Gelmini. Occorre essere impopolari con chi è popolare. Le liberalizzazioni sono dure da digerire.
Sono una sfida anche a una parte di quel blocco sociale e corporativo che si riconosce nel centrodestra e che resta aggrappato a privilegi da mercato bloccato (basti pensare a come si sta incardinando la riforma forense, in alcune sue parti più attenta alle esigenze della professione che a quelle dei clienti). Ecco, il premier non cada nella trappola di utilizzare la grande riforma liberalizzatrice come semplice argomento propagandistico. Ne dia veloce e sapido contenuto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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