Cronaca locale

La «Sylphide» di Lacotte arriva alla Scala

Elsa Airoldi

La musica tira fuori forte-piani e corde di budello. La danza la tecnica aerea e manieristica che, ben diversamente da quanto avverrà nella stagione tardoromantica fine Ottocento, coglie sul nascere gli spiriti dell'estetica romantica.
È la filologia. Una dimensione non sempre ben servita. Ma in fatto di danza raramente s'è visto (duo Millicent Hodson-Kenneth Archer a parte) qualcosa di più credibile della Sylphide di Pierre Lacotte. Il balletto che entra nel repertorio scaligero giovedì. Questa Silfide che ha girato il mondo ed è «la» Silfide dell'Opéra di Parigi, nasce nel '71 per la televisione e passa nel '72 sulla scena del teatro parigino. Con la coppia Ghislaine Thesmar (che diventerà la massima étoile del Palais Garnier) - Michaël Denard. L'abbiamo già incontrata. L'attendiamo al Piermarini con i guest Aurélie Dupont (Opéra), Leonid Sarafanov (Kirov) e Maximiliano Guerra (ex Colon-English National-Deutsche Oper Berlin).
Lacotte, il coreografo, racconta ancora una volta la sua storia. Attratto dal balletto romantico si imbatte nella documentazione della prima, e vera, Silphyde. Quella datata Parigi 1832. È una coreografia per l'Opéra di Filippo Taglioni. Protagonista la figlia Maria. Il mito del romanticismo. Maria piena di grazia... danzatrice cristiana... poetessa di castità... canterà Gautier e non solo lui.
Il balletto su musica di Schneitzhöffer con scene di Pierre Ciceri e costumi di Eugène Lami, è il primissimo esempio di balletto romantico. Preceduto solamente dalle danze (ancora Filippo e Maria) per l'opera Robert le diable di Meyerbeer (1831). La Sylphide significa primo tutù, primi bandeaux, prime punte o giù di lì (il merito per quel mezzo di elevazione «spirituale» pare andare a Amalia Brugnoli). Insomma un prototipo, approdato anche alla Scala, con tanto di divina Maria, nel 1841 (scene di Cavallotti e Menozzi).
Un capolavoro che tuttavia viene «ucciso» dalla nascita dalla versione curata da August Bournonville per Copenaghen nel 1836. Quella che con stesso titolo e libretto (Adolphe Nourrit), ma altra musica (Lovenskjold), altra coreografia e soprattutto altro impianto, si sarebbe imposta nei teatri del mondo.
Come mai? Risponde Lacotte. «Il teatro di Copenaghen non riesce a sostenere la spesa per l'ospitalità della Silfide parigina. Così Bournonville ne scrive un'altra. Mentre la Silfide di Filippo Taglioni esce di scena per mancanza di interpreti. La moda che impazzisce per la diafana Maria (abiti Taglioni, profumo Taglioni) cambia. Le danzatrici diventano più robuste e inidonee al ruolo».
Anche la versione Bournonville è pregevole. Ma niente a che vedere con l'originale letteralmente impregnato degli spiriti romantici che arrivano dalla Germania, attecchiscono in Francia e in Italia, ma sono estranei alla cultura danese. L'originale ricostruito da Lacotte si basa se una vasta documentazione scritta e iconografica. Ma anche sulla sua personale ricostruzione stilistica. La stessa che a Parigi continua ad imporre alle ballerine i corsetti con stecche che obbligano l'inclinazione in avanti.
In Sala Gialla Frédéric Olivieri al quinto anno di mandato annuncia anche la prossima tournée in Cina. Mentre esprimono sacrosanto orgoglio i tre ospiti (prima volta per Sarafanov) e la bella Gilda Gelati. Nome di un turnover che prevede molti dei nostri. Sul podio Kevin Rhodes.

Scene e costumi originali di Ciceri e Lami.

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