Milano Sono specie politiche che qualche volta si ibernano, ma non si estinguono mai. Il tabaccisauro è il tipico esemplare che fa da anello di congiunzione tra la prima e la seconda Repubblica. Ma state sicuri che arrivassero anche la terza e la quarta, lui sarebbe sempre lì a reclamare un posto in prima fila. Perché l’esemplare è uno di quelli che cambia spesso pelle, ma risponde a un codice genetico che gli vieta assolutamente di abbandonare la poltrona e soprattutto lo stipendio. Anche a costo di sommarle, le poltrone. Perché due sono sempre meglio di una, come ha già dovuto capire il neo sindaco di Milano Giuliano Pisapia che a Bruno Tabacci ha pensato bene di affidare l’assessorato al Bilancio. La cassaforte della città. «Meno consulenze e basta doppi incarichi», aveva sentenziato il primo giugno nell’intervista post elezione e con la giunta ancora in cantiere dalla prima pagina del Corriere.
Uno zelo di cui quello che già qualcuno battezza il «Tremonti di Pisapia» ha mandato in frantumi a pochi minuti dalla proclamazione. «Mi pare che Pisapia - sicuramente non interpellato - consideri un’opportunità la mia presenza nella commissione Bilancio della Camera». Un’opportunità sicuramente perché della Camera non perderà stipendio, pensione e benefit. Sicuramente non per Pisapia che già deve fare i conti con l’ira degli alleati. «Noi dell’Italia dei Valori - ha immediatamente tuonato il neo commissario per Milano Stefano Zamponi - abbiamo fatto del contrasto ai doppi incarichi uno dei punti fondamentali del programma. Opinione condivisa da tutta la coalizione». E minaccia di chiedere al consiglio comunale «di pronunciarsi sul doppio incarico di Tabacci». Nemmeno seduto alla scrivania che fu di Letizia Moratti e per Pisapia ecco la prima grana.
Oddio, di problemi la nomina di Tabacci gliene aveva già dati. Con quelli di sinistra a dir poco perplessi di fronte all’irresistibile desiderio di riesumare il vecchio rottame democristiano. Uno che, in verità, a tornare ci aveva anche provato.
Esattamente cinque anni fa, quando si candidò con l’Udc che allora appoggiava la Moratti e stava tranquilla nel centrodestra ricevendone in cambio un assessore. In molti e lui stesso si aspettavano sfracelli. Ma a sfracellarsi fu lo stesso Tabacci che raccolse la miseria di 1.260 voti non arrivando nemmeno secondo. Sonoramente battuto da Pasquale Salvatore che con 1.358 andò dunque in aula al suo posto e da Emilio Santomauro con 1.315. Con tutto il rispetto, non certo due pezzi da novanta. E così quella volta l’assessorato sfumò.
Da lì i suoi cominciarono a dire che «Tabacci non prende nemmeno in voti del suo condominio». Ma come se nulla fosse, lui proseguì la navigazione lasciando nel 2008 Pirferdy Casini per iscriversi al gruppo misto della Camera fondando il movimento della «Rosa bianca». Un flop. Rieletto deputato nella XVI legislatura si iscrive di nuovo al gruppo dell’Udc, è vicepresidente della commissione Bilancio della Camera e componente del Comitato per la valutazione delle scelte scientifiche e tecnologiche. Finita? Manco per sogno.
Irrequieto, nel novembre del 2009 lascia di nuovo Casini per confluire nel gruppo misto con Francesco Rutelli.
Con cui l’11 novembre 2009 fonda l’Api, l’Alleanza per l’Italia e a Milano prova ad accreditarsi come candidato sindaco del Terzo polo. Questa volta a batterlo è il giovane «futurista» finiano Manfredi Palmeri che sarà scelto da Fini e Casini (perché Rutelli alla fine conta sempre quel poco che conta) per sfidare Moratti e Pisapia. Cavandosela piuttosto bene. L’anno scorso un pensierino l’aveva fatto anche per la Regione. Niente da fare. Colpito, ma non affondato Tabacci si rivolge allora ai soliti salotti buoni della borghesia ambrosiana e a quelli della finanza cattocomunista. Che evidentemente sull’«arancione» Pisapia hanno più presa che su quelli del centrodestra.
E così nonostante in campagna elettorale avesse sostenuto un altro candidato, in un attimo Tabacci salta sul carro del vincente. Cosa volete che sia per un vecchio democristiano di lungo corso, 64 anni portati piuttosto bene a parte il testone scarsicrinito, collezionare un altro voltafaccia? A quasi 25 anni di distanza da quella presidenza di Regione Lombardia presa nel 1987 protetto dallo scudo della Democrazia Cristiana. Roba che il suo collega di giunta Pierfrancesco Maran a quell’epoca aveva 7 anni e frequentava la prima elementare.
L’abboccamento con Pisapia? Nel suo studio di avvocato, già frequentato da Tabacci a inizio anni Novanta. Come imputato. Il pubblico ministero? Era Antonio Di Pietro. Che oggi il tabaccisauro ha lasciato fuori dalla giunta. Una vendetta servita ben fredda.
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