Roma - Alcuni atenei sono a rischio chiusura. In un momento caldissimo per il mondo universitario in agitazione, con i finanziamenti appesi all’approvazione della riforma, slittata a fine novembre, le parole del ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, piovono come benzina sul fuoco e l’opposizione, con la Cgil in testa, la bersaglia di critiche.
«Qualche Università purtroppo è in una situazione di dissesto finanziario. -dice il ministro Gelmini, intervistata da Maurizio Belpietro a Mattino Cinque- Non a caso la riforma prevede la fusione piuttosto che la federazione di Atenei diversi come strumento per favorire una riprogrammazione dell’offerta formativa».
Il ministro non fa che ribadire quanto ha detto fin dall’inizio del suo mandato. Ovvero che occorre razionalizzare la spesa degli atenei che devono imparare a utilizzare meglio quanto hanno a disposizione. L’aveva detto per la verità anche il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa- Schioppa, nel 2006 quando era al governo Prodi. E non è in discussione la necessità di un ricambio: andranno via 15.000 docenti su 60.000 e senza l’ingresso di forze nuove non verrebbe garantito un corretto funzionamento.
La Gelmini confida che la riforma slitti «al massimo di un paio di mesi» e ribadisce di aver avuto garanzia da parte del ministro delle Finanze, Giulio Tremonti, sull’arrivo dei finanziamenti per gli Atenei nel Milleproroghe. Il governo, spiega il ministro, ha da un lato il compito di varare «un piano di razionalizzazione indispensabile» dall’altro «di trovare le risorse per un corretto funzionamento dell’Università».
Ma chi rischia veramente di andare a gambe all’aria? Non è detto che siano gli Atenei con i bilanci più in rosso anche perché la riforma introduce la possibilità del commissariamento per chi non ha gestito bene i conti.
Tra gli obbiettivi di razionalizzazione già realizzati dal ministro c’era ad esempio quello di tagliare un terzo delle scuole di specializzazione di medicina, passate da 1.600 a 1.200. Dire no ai microcorsi che non garantiscono neppure la presenza di un professore ordinario non rappresenta soltanto una forma di risparmio ma anche un modo per salvaguardare la qualità dei corsi. Prevista pure la riduzione del venti per cento corsi di laurea, passati in dieci anni da 3.234 a 5.835.
Il ministerò poi non «ordinerà» la chiusura delle sedi distaccate ma sicuramente le nuove regole renderanno davvero difficile la loro sopravvivenza. E infatti alcuni Atenei si stanno già muovendo in questa direzione. Il Politecnico di Torino, ad esempio, già da questo anno accademico ha deciso di chiudere tutte le sedi distaccate: Mondovì, Biella, Vercelli. Al Politecnico hanno fatto due conti, scoprendo così che far laureare uno studente in una sede distaccata costava 8 volte di più rispetto alla centrale. E gli iscritti sono saliti del 25 per cento. Anche Catania ha deciso di chiudere ben 10 sedi distaccate. Si può ragionevolmente ipotizzare che dovranno chiudere tutte le sedi con meno di 1.000 studenti, a meno di situazioni particolari di eccellenza.
E certo si guarda con preoccupazione al numero ritenuto abnorme delle Facoltà di medicina, 44, e soprattutto di Veterinaria, 17 mentre in Francia ad esempio sono soltanto 4.
Ci sono Atenei che rischiano concretamente di chiudere anche con l’entrata in vigore della riforma? Spesso si cita Siena per il suo enorme buco in bilancio, 270 milioni.
Ma si tratta di un Ateneo storico con un ricco patrimonio immobiliare e dunque proprio con l’introduzione della riforma ed il sistema di commissariamento si conta in un ragionevole lasso di tempo di rimetterlo in sestoNel mirino ci sono sicuramente tutti gli Atenei con Policlinici: Roma, Napoli, Messina tutti vigilati speciali come Bari con il suo debito di 50 milioni o Palermo che si ferma a 20.
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