«Non sono né bacchettona né velina». Isabella Rauti (nella foto) guarda la pubblicità di una donna nuda in una vasca rossa, aperta, offerta, sul mercato. La mette via. Prende unaltra foto. È in scala ridotta limmagine che compare su molti megacartelloni a Roma e in altre città. Questa volta la donna è distesa su un letto di cetrioli. Listituto di autodisciplina della pubblicità le ha vietate. Su richiesta di Isabella Rauti.
Non le piace questa idea di donna?
«No, per niente. E non è reale. Non mi piace la donna mercificata. Non mi piace chi compra il corpo e chi lo vende».
Qualcuno potrebbe dire: è solo pubblicità. Serve a vendere un prodotto.
«Appunto! La pubblicità produce consumo e condiziona la cultura. Il rispetto delle donne comincia anche da lì, da uno sguardo diverso sul mondo. Il collega Miele ed io abbiamo presentato alla Regione Lazio un testo unico sulla comunicazione istituzionale e linformazione. È un progetto di legge che impegna gli editori a non utilizzare pubblicità lesive della dignità della persona o discriminante per le donne».
E se i giornali non vi ascoltano, quale è la sanzione?
«Non riceveranno più i contributi per leditoria».
È un aut aut: o i soldi della pubblicità violenta o quelli dello Stato.
«Di più. La sanzione morale è più efficace della multa».
Domani presentate un decalogo: mai più violate. È la risposta al «se non ora quando» della sinistra?
«Niente affatto. Sarebbe davvero triste se fosse così. È un manifesto programmatico contro la violenza fisica, psicologica, morale e economica di cui troppe donne sono ancora vittime. E spero che il decalogo venga sottoscritto da tutte le forze politiche e dai singoli individui, anche on line. Queste battaglie, questi valori, non hanno confini o steccati politici».
Come mai, allora, non è scesa in piazza con le donne di sinistra?
«Quella era una manifestazione tutta contro qualcuno e non a favore di qualcosa. Il decalogo è contro qualcosa, la violenza e ed a favore solo delle donne».
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