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Tagliariol conquista l’oro: "Mi manda D’Artagnan"

Trevigiano, 25 anni, ha centrato un trionfo che mancava agli azzurri dalle Olimpiadi di Roma del 1960: "L'avevo detto alla mamma: da grande voglio fare lo spadaccino". L'argento di Pellielo nel tiro al piattello

Tagliariol conquista l’oro:  
"Mi manda D’Artagnan"

Pechino - Dice Tagliariol, ma pensa D’Artagnan. Ci ha creduto fin da piccolo, lo raccontava alla mamma. «C’è chi gioca a fare il calciatore ed io gioco a fare D’Artagnan. Si può?». Poi, un giorno, vide in Tv Giovanna Trillini e capì che si poteva. Ed ora eccolo lì, sul podio di Pechino, nell’alveo della storia di Olimpia, composto e fiero, guascone e stratega. L’uomo che ha tolto la spada italiana dalla roccia in cui s’era infilata 48 anni fa, è un ragazzo veneto di 25 anni, un tipo raffinato e deciso, amante della letteratura classica e dell’arte, della musica, dell’Ipod e della tecnologia, una sorta di bocconiano di cappa e spada. Dice che un oggetto tecnologico per lui è come un capo di moda.

Scopre un braccio e ti fa leggere un tatuaggio. «Conosci te stesso», scritto nei caratteri del greco antico. Com’era nell’esortazione dell’Oracolo di Delfi. Non si è iscritto all’Università perché, prima, voleva investire tutto sulla scherma. Poi penserà ad una facoltà legata al mondo della pubblicità. Ha scelto la spada perché, spiega, è sinonimo di libertà e creatività.

E ieri lo ha dimostrato: sulle pedane della Fencing Hall ha messo insieme il capolavoro, tolto Giuseppe Delfino dalla solitudine di un oro conquistato a Roma 48 anni fa e mai più replicato, infilato avversario dopo avversario. Sul podio, mentre la bandiera saliva e l’inno suonava, ha capito di aver vinto anche la scommessa con se stesso. Sapeva di esser calmo, riflessivo, positivo, ma non ancora un vincente: «Sono arrivato secondo troppe volte».
Matteo, lo ha raccontato Francesca, la mamma, ha la crapa dura: «Quello che dice, fa». Aveva promesso a se stesso di vincere qualcosa.

Voleva esaltare il suo spirito guerriero. Lo ha dimostrato ieri. Ogni volta rischiando qualcosa all’inizio degli assalti, per poi prendere il sopravvento, una volta compresa la tattica dell’avversario. Alcuni match sono stati in fotocopia, altri più facili. La finale sorprendente: per l’Italia che non lo conosceva e per Francois Jeannet, il francese della Martinica, che credeva di giocarselo facilmente. Matteo è un esordiente delle olimpiadi, Jeannet un pluridecorato (campione del mondo nel 2003) che aveva ottenuto il pass per i giochi, dopo un’annata negativa, solo all’ultima gara. Matteo invece è il numero tre delle classifiche mondiali: quest’anno ha vinto tre gare in coppa del mondo. Potrei farcela, si è detto ieri, quando ha visto la buona luna: battuto un norvegese, poi il francese Robieri, poi l’olandese Verwjlen, lo spagnolo Abajo con qualche titubanza iniziale.

L’ultimo assalto, quello per l’oro, è stato un esaltante crescendo. Illuminato da qualche segno del destino: sul 3-2 per il francese, Matteo ha piegato la spada. Troppa foga, dirà lui. Ma da quel momento non ha più sbagliato un affondo e la partita si è chiusa 15-9.

Acchiappato l’oro, è sparita la voce dopo urla di gioia, la scherma italiana ha visto sfolgorare un nuovo campione, sono comparsi i genitori ad attestare la bontà del figliolo. Scene tipiche degli sport battezzati da un dio minore. Matteo si è lasciato andare a quel pizzico di emozione che in pedana non conosce. «Per ora è il giorno più felice della mia vita. Lo sognavo fin da bambino. Mi sento orgoglioso di essere italiano». Ha dedicato l’oro al suo primo maestro, Ettore Geslao, che oggi è in ospedale. Mamma Francesca insegna lingue e, dopo esser «svenuta» alla visione di Beppe Severgnini piuttosto che all’oro del figliolo, ha introdotto i giornalisti alla vita del suo campione e raccontato di Giuseppe, il marito che, per seguire meglio la carriera di Matteo, insomma capirne di più, ha impiantato una palestra di scherma. Fa l’istruttore, ma non al figlio. Piuttosto lo segue dovunque, preferibilmente in moto: si tratti di Ucraina o Cina. Voleva venire fino a Pechino, glielo hanno impedito.



In questi racconti ed aneddoti c’è tutta una storia d’Italia. La storia di un’Italia che fa miracoli. E che non pensa alla Tv. Matteo avrebbe le fisique du role. Ma ha già garantito che cerca una sola celebrità: quella della sua spada. Oggi è la spada di un re.

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