Tagliate le pensioni alle vedove

La Finanziaria ha ridotto tutti gli assegni di reversibilità per i dipendenti pubblici, emessi prima della riforma Dini del 1995. La misura prevista nel capitolo di contenimento della spesa pubblica. Decurtazione fra i 100 e i 200 euro, molte le donne colpite

Tagliate le pensioni alle vedove

Milano - La scure della Finanziaria si è abbattuta anche sulle vedove dei dipendenti pubblici, tagliando dalle loro pensioni di reversibilità mediamente tra 100 e 200 euro al mese. Per chi di euro ne prende un migliaio al mese, e deve fare i conti con gli acciacchi della vecchiaia, è un vero e proprio salasso. «Mia madre - ci scrive un lettore - di 94 anni, pensionata di reversibilità Inpdap, ha ricevuto questo mese una pensione decurtata di più del 10% del totale. Abbiamo cercato di capire se fosse una diminuzione permanente o un conguaglio e abbiamo scoperto che effettivamente la Finanziaria ha stabilito un taglio alle pensioni di reversibilità Inpdap erogate prima del 1995. Ma il governo non aveva preso l’impegno di non toccare le pensioni per quest’anno? E doveva cominciare proprio dai più anziani, i cui bisogni aumentano nel tempo?».
Sì, doveva cominciare proprio da loro. Perché nel mirino della Finanziaria, o meglio dei commi 774, 775 e 776 del maxiemendamento, c’erano gli assegni erogati ai coniugi superstiti dei dipendenti pubblici che hanno lasciato il lavoro prima della riforma Dini del 1995. Le loro vedove sono oggi più vicine agli 80 che ai 70 anni, e vivono con una pensione di reversibilità che in molti casi sfiora il limite della povertà. E di quell’assegno, l’indennità integrativa speciale - la contingenza dei dipendenti pubblici -, che viene appunto colpita dal provvedimento, rappresenta una componente non trascurabile.
Ora, quell’indennità viene ridotta al 60% da una nuova, restrittiva interpretazione della legge, stabilita dalla Finanziaria con l’obiettivo - tanto fortemente voluto dal ministro dell’Economia Padoa-Schioppa e dal viceministro Visco - di contenere la spesa pubblica, spazzando via centinaia di sentenze di tutte le sezioni giurisdizionali della Corte dei conti favorevoli ai coniugi superstiti.
Prima del 1995, infatti, la pensione veniva calcolata distinguendo fra stipendio base e contingenza (l’indennità integrativa speciale appunto): e la pensione di reversibilità era calcolata al 60% sulla retribuzione ma l’importo della contingenza rimaneva invariato. Dopo la riforma Dini, invece, paga base e contingenza sono state conglobate, e la pensione di reversibilità calcolata sul 60% di questo importo complessivo: il risultato è ovviamente una cifra inferiore. E per l’Inpdap, l’Istituto previdenziale dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, questa norma deve valere in tutti i casi di reversibilità, anche se la corrispondente pensione diretta è stata liquidata - cioè il dipendente è effettivamente andato in pensione - prima dell’entrata in vigore della legge, o se il titolare è morto dopo. Quindi, per il coniuge superstite l’indennità integrativa speciale viene ridotta al 60 per cento. Una norma sulla cui legittimità sono subito sorti dei dubbi, anche grazie al passaparola di sindacati di base e associazioni di pensionati.
Molte vedove di pensionati, divenute tali dopo il 1995, hanno quindi fatto ricorso alla Corte dei conti, competente in questa materia, chiedendo che l’indennità integrativa speciale venisse liquidata nella misura del cento per cento. E su questo hanno collezionato pareri favorevoli della Corte dei conti, compresa una sentenza a sezioni riunite del 17 aprile 2002: si attendeva però un nuovo pronunciamento del parlamento. Che è arrivato, ma va in senso opposto a quello auspicato dagli interessati: la liquidazione dell’indennità integrativa speciale nella misura intera, sia pure limitatamente alle pensioni definite sino al 31 dicembre 1994 e alle relative pensioni di reversibilità, non è più possibile.

Impossibile fare un conto esatto di quanto viene decurtato dalla riliquidazione delle pensioni delle vedove, che pure avevano visto le loro richieste riconosciute dalla sentenza, ma, secondo un calcolo realistico, si tratta di circa il 10 -12% dell’assegno mensile.

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