Cronaca locale

Tamer, squarci di natura dall’origine del mondo

Domizia Carafòli

Già li immaginiamo, certi commenti: stile fotografico, puro virtuosismo. Certo Marzio Tamer, di cui fino al 25 novembre sono esposte alla Galleria Salamon venti nuove opere, è pittore di smisurata, mostruosa abilità tecnica. Un perfezionista al cui controllo non sfugge nulla, neppure il più sottile colpo di pennello, l’infinitesimale grumo di colore, l’inavvertibile sbavatura d’acqua. Uno studioso dell’arte antica, indubbiamente, cui non è sfuggita la lezione dei fiamminghi, un italiano folgorato dal realismo sentimentale dell’americano Andrew Wyeth.
Questo per spiegare il pittore. Poi viene l’artista. Ed è tutto un altro discorso. Un artista non si può spiegare e infatti Inexplicability, «Inspiegabile» è il titolo del volume dedicato alla retrospettiva dei primi dieci anni di attività di questo veneto, nato a Schio nel 1964. Occorre abbandonare le categorie usuali della critica d’arte per avventurarsi nella natura evocata dai suoi quadri. Una natura silente, immobile come ci si immagina potesse essere all’origine del mondo. Archetipica. Eppure quelli ritratti nelle tempere e negli acquerelli sono i campi, le rogge, le lagune, il mare che vedono i nostri occhi di oggi, assolutamente «veri» nella riproduzione perfetta di ogni lama d’acqua, di ogni tronco d’albero, di ogni fessura nella pietra. Sono luoghi abitati dall’uomo che vi ha lasciato la traccia del suo passaggio e del suo lavoro - i pali di una recinzione, l’angolo di una malga, un carretto agricolo - eppure è assente, scomparso, la sua voce non turba un silenzio che sembra possa essere rotto solo dal grido di un falco o dal frullo d’ali di una ghiandaia.
Sono gli animali gli unici protagonisti viventi degli «squarci di natura» (la definizione di «paesaggio» appare insoddisfacente) di Marzio Tamer. E se l’ambiente è ritratto con un senso di sacralità che esclude qualsiasi abbandono sentimentale, sugli animali lo sguardo del pittore si posa con una tenerezza trattenuta ma così profonda da sconfinare talvolta in un’affettuosa ironia, come quando ritrae la prosopopea del Tucano o l’impertinenza del Giovane passero.

Gli animali di Tamer possiedono un’innocenza tanto più commovente quanto più indifesa, simboleggiata dalla cerbiatta che dorme (Senza titolo), gli occhi chiusi su chissà quale sogno antico.

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