Il tandem Biasotti-Scajola infiamma gli arancioni

L’obiettivo: «Dobbiamo vincere per la Liguria e per il Paese. Impegniamoci al massimo in questa battaglia decisiva»

Il tandem Biasotti-Scajola infiamma gli arancioni

Biasotti: «Dobbiamo vincere per la Liguria e per il Paese. E io tornerò governatore». Scajola: «Forza, forza forza! Impegniamoci tutti al massimo, in questa battaglia decisiva per rialzare l’Italia». Fanno gioco di squadra, in perfetta sintonia, l’ex presidente della Regione e il presidente del Comitato per la sicurezza della Repubblica: l’occasione, questa volta, al Teatro della gioventù, è la convention degli «arancioni», il movimento fondato da Sandro Biasotti e confluito nel Popolo della libertà. Ma il tandem è ormai collaudato, assolutamente complementare nel far partecipe il pubblico - ieri pomeriggio, una valanga che si spella le mani a ogni passaggio dei due discorsi - e nell’infondere calore e incitamento per un appuntamento elettorale «che non si può considerare già vinto al punto da trascurare lo sforzo, in particolare in questi ultimi giorni decisivi che precedono il voto». E allora il leader degli arancioni attacca le corde più sensibili: «Noi siamo la passione e siamo il cuore». E subito dopo: «Voi siete la mia gente, voi siete quelli che mi hanno convinto a tornare in campo nel momento peggiore, quando sembravo definitivamente sconfitto, dopo le regionali del 2005. Mi avete fatto capire: non si può lasciare che la Liguria sia governata da gente come Claudio Burlando, e che i genovesi non possono continuare ad avere sindaci come Marta Vincenzi». Tifo da curva sud, tripudio di bandiere. E lui, Biasotti, fa sfoggio di frasi in dialetto, gigioneggia: «Dove sono gli appunti? Ah, eccoli. La pagina 3 l’ho già letta, tranquilli: ho solo altre due cartelle. Ora potete pure applaudirmi...».
Saluta gli ospiti in sala, cita ad uno ad uno «mia mamma e mia moglie, la cara signora pensionata con cui avevo festeggiato l’altra volta, ricordate? E saluto tutti gli arancioni». Altra standing ovation. Ma soprattutto «Sandro» cita «l’amico Claudio», così come, di lì a poco, «Claudio» gli ricambierà ripetutamente la citazione con i «caro Sandro». Si chiamano a vicenda, segno di ritrovata armonia, «in nome della vittoria» e del riconoscimento pubblico, da parte dell’ex governatore, della leadership di Scajola. Fino all’affondo che la platea non si aspetta: «È grazie alle palle di Claudio che abbiamo messo a punto il meccanismo delle candidature! Tornerà ministro e farà il bene della nostra regione e dell’Italia intera». Scajola sale sul palco - dove si erano già avvicendati Gianni Barci, Michele Scandroglio, Eugenio Minasso e l’ex segretario regionale dell’Udc Sergio Cattozzo, oggi Partito popolare europeo, applaudito dal pubblico e citato più volte dai due big - e, da consumato oratore, fa crescere ancora l’entusiasmo. Ma avverte: «Non siamo appagati dei sondaggi e delle previsioni ragionate. Dobbiamo vigilare al momento dello scrutinio. Non a caso il presidente Silvio Berlusconi riunirà a cena, il giorno 8 a Savona, i 1716 nostri difensori del voto, dando anche un segno al Paese sull’importanza dello spoglio».

Anche perché - conclude Scajola - dopo l’esperienza della nostra vittoria del 2006 tramutata in sconfitta, «due volte per fessi non possiamo passare!». Ottimisti sì, ma all’erta e con i piedi ben piantati per terra. Per vincere la battaglia in Liguria e la guerra in Italia.

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