Il tango, Bach e l’ostinato culto della fisarmonica

È francese della Costa Azzurra, anche se il suo cognome tradisce limpide origini italiane. Ma è soprattutto l’autore di un piccolo miracolo: essere diventato un beniamino del pubblico imbracciando uno strumento difficile e legato al folklore e alla musica popolare, quale è la fisarmonica. Richard Galliano torna stasera a Roma, all’Auditorium, nella sua qualità di ospite di Santa Cecilia. Quest’anno la data del suo concerto cade proprio il giorno del suo compleanno: nato in Francia il 12 dicembre 1950, si innamorò della fisarmonica (e del bandonenon) ancora adolescente e sedotto dal jazz tentò con successo di adeguare il suo insolito strumento ai sincopati ritmi della musica afroamericana. Finché un giorno incontrò Astor Piazzolla, che gli disse: «Il jazz che suoni tu sa troppo di americano. Riscopri le tue radici francesi. Inventa un nuovo tipo di musette, così come io ho reinventato il tango argentino». Detto, fatto. Galliano, seguendo quell’illustre viatico, ha mescolato reminiscenze swing, marcati echi di tango, giri di valzer dei bistrot parigini, Bill Evans, Keith Jarrett e la lezione di Parker e Coltrane. Fino a creare una miscela riconoscibile fin dalla prima nota. Il tutto senza tralasciare i naturali echi della musica moderna e contemporanea francese (Ravel e Debussy su tutti). A Roma Galliano porta il suo nuovo progetto «Tangaria», che indica una fusione tra il «tango» e l’«aria» come la intendeva Bach.

Una miscela originale, affrontata in quartetto, con violino, contrabbasso e percussioni, che promette sorprese e una full immersion nel mondo di Galliano, fatto di universi musicali diversi, che si compongono nel suo virtuosismo capace di stupire ma anche di emozionare.

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