Tania si butta: «Arrivo in finale se non faccio un macello»

La Cagnotto comincia i suoi mondiali dalla piattaforma di 10 metri: «Sono pronta, ma qui basta un niente per sbagliare»

Tania si butta: «Arrivo in finale se non faccio un macello»

nostro inviato a Melbourne

Portabandiera alla cerimonia d’apertura, come fosse un simbolo. Sorride. Dice: «Speriamo, è stata una cosa carina, non me l’aspettavo». Tania Cagnotto si raggomitola sulla poltrona dell’albergo, rimbomba il ruggito delle auto di Formula uno. Le camere guardano proprio sulla pista. Fuori Raikkonen tira il gruppo, lei avrebbe preferito dormire. Pazienza. Tania è tirata, incartata nel suo metro e 60 per 54 kg. Un’altra delle piccole donne d’Italia pronta a conquistare il mondo: Vanessa Ferrari, Denise Karbon, Antonietta Di Martino, la lista si fa lunga. Lei si porta dietro il bronzo vinto dal trampolino di tre metri ai mondiali di Montreal 2005: prima ragazza dei tuffi. Quella era una donna di ferro.
Ed ora Tania, che Tania sei?
«Ci sono. Nel senso: sono di nuovo io. Mi sono ripresa dall’anno passato negli Stati Uniti. Tutto dimenticato, qualche gara mi ha rinfrancato. Ne avevo bisogno».
Peserà il bronzo di Montreal o resterà un bel ricordo?
«È un bel ricordo che pesa, la gente ora vorrà la stessa medaglia o qualcosa di meglio. Ma i tuffi sono delicati, basta niente per sbagliare. Comincio con la piattaforma dai 10 metri, poi vediamo».
Cosa non deve succedere?
«Sbagliare, non me lo posso permettere. Per arrivare alla medaglia devo fare una gara perfetta, come a Montreal».
Avversarie le solite cinesi? Gente che non sbaglia un podio olimpico dal 1984...
«Appunto. Ci sono loro dai tre metri. Dalla piattaforma due australiane. Una, Melissa Wu, di origine cinese. È pocket: appena un metro e 36. Ma se non faccio un macello, nei 10 metri entro anch’io in finale».
In Italia è l’anno delle piccole donne. Che dice?
«Nel mio sport è difficile trovarne alte. Quindi mi sento abbastanza bene. Speriamo davvero sia l’anno nostro».
Cosa è rimasto dell’esperienza negli Stati Uniti?
«Molto, come esperienza di vita. Tutto bene, tranne i tuffi. Metodo troppo diverso, a loro importava solo che portassi punti all’università. A nessuno interessava se poi sono arrivata cotta alle gare internazionali».
O forse voi atleti siete abituati troppo bene?
«No, gli americani sono materialisti, ognuno pensa al proprio lavoro, alla propria pelle. Non sono molto umani. Le russe, le tedesche, insomma le europee, la pensavano come me».
Tornata con papà, ha smesso di litigare?
«I rapporti sono migliorati. Mi sono resa conto di essere contenta di allenarmi con lui. Poi, ogni tanto, si litiga. Come un papà e una figlia. A volte me ne vado incavolata: per esempio oggi».
Il sogno nel cassetto?
«Andare bene qui. E la medaglia all’Olimpiade».
L’idea di andare ad allearsi in Cina?
«C’è sempre: non so se prima o dopo i Giochi. So che non mi faranno allenare con la squadra A: quella che volevo. Ma anche la squadra B vale il meglio del mondo»
È dimagrita: si sta cinesizzando?
«Il fisico è un po’ cambiato, sono diventata grande. Mi ha aiutato: più magra sei, soprattutto dai 10 metri, meglio vai. Ho fatto una dieta, non rigorosa ma devo tenermi».
Cambierà qualcosa rispetto a Montreal?
«Il programma, non ci sono più i tuffi obbligatori: ogni gara è più difficile. Vorrei essere meno tesa per non arrivare in finale distrutta come due anni fa. È un mio difetto: mi agito troppo. Questo è uno sport dove la concentrazione conta più di tutto. Ho letto un libro: Vincere con la mente. Volevo capire».


Cosa ha capito?
«Che le donne sono più cattive. I maschi più pigri. Noi ci impegniamo tanto. Io sono tosta. Anche se non diventerò mai famosa e piena di soldi come un calciatore. Ma questo è nel conto. Preferisco la mia passione alla loro fama».

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