Gioiosamente l'orchestra Verdi celebra il suo rito di fine d'anno e colora di felicità i nuvoloni addensati su quello nuovo. La Nona Sinfonia di Beethoven, quattro esauriti, entusiasmo: un evento che in una città illuminata e civile sarebbe non eccezionale ma certamente garanzia di continuità. Qui invece le cose vanno all'inverso e si sta già progettando una soluzione che rispetta l'antico rapporto proverbiale taccone-buso.
Qual'è la situazione drammatica della Verdi? A mio avviso si divide in quattro parti: mancanza di regolari finanziamenti proporzionati; stipendi bassi e da tempo mancanti ai professori d'orchestra, giovani professionisti, per non parlare del coro dove regna da sempre il volontariato; irregolarità pesanti nel versamento dei contributi; accentramento di poteri senza una direzione artistica precisa, e soprattutto senza la partecipazione degli strumentisti e senza garanzie per loro. Tutti questi fatti nei discorsi sono sostituiti da un insopportabile inno retorico alla generosità, alla giovinezza, al paternalismo assistito, all'invito alla società perché salvi l'istituzione.
Ora, è difficile credere che l'emergenza sia rimediabile prolungandone e rattoppandone le condizioni che l'hanno causata. Bisogna mettere le carte in tavola , a cominciare dal punto di partenza: se l'orchestra vuole rimanere privata, com'era nata, deve assumersene l'onere finanziario, nei termini di tutte le istituzioni private; se dev'essere pubblica, allora lo deve diventare totalmente e sottostare alle regole delle orchestre pubbliche.
Quando nacque, si lasciò quasi sotto silenzio la distruzione della gloriosa ed ancora efficiente orchestra sinfonica della Rai di Milano: sembrava un nuovo modo vittorioso di produrre la musica. Poi si è passati dagli osanna ai lamenti, come spesso da noi, senza autocritiche e senza prospettive nuove.
Sul piano artistico, c'è molto da lavorare, ma su una base solida.
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