Se si parla di energia imprenditoriale, gli italiani hanno pochi rivali al mondo. Hanno in abbondanza gusto del rischio e capacità di cogliere le opportunità. A mancare, però, è spesso qualche cosa d'altro. Nel 2011 solo il 56% della popolazione nella fascia di età tra i 25 e i 64 anni aveva concluso un ciclo di scuola secondaria superiore, contro il 75% della media dei Paesi industrializzati. Una differenza del 20% che non è stata colmata nemmeno dal recupero di scolarità delle ultime generazioni. Il dato si riflette sulla composizione dei quadri aziendali. Secondo dati diffusi da Confindustria anche le imprese che puntano sull'innovazione fanno poco ricorso ai laureati: per l'80% delle aziende pesano meno del 10% della manodopera totale, contro il 40% in Spagna e il 50% in Germania. Da notare in sovrappiù che nel nostro Paese il titolo di studio è anche poco premiato dal punto di vista retributivo.
Il problema è che tutti gli studi internazionali stabiliscono una correlazione diretta tra tasso di crescita di un Paese e competenze della sua forza lavoro.
Per aumentare la ricchezza servono insomma le capacità innate di condottieri-imprenditori, ma anche colonnelli a proprio agio con le nuove tecnologie, una caratteristica che richiede la piena padronanza di saperi «codificati» appresi a scuola e all'università. Né Steve Jobs né Bill Gates hanno finito l'università, ai geni evidentemente non serve. Ma alle persone e alle aziende normali forse sì.AA
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