nostro inviato a Mayrhofen
Caro diario, giornata di terribile sofferenza, qui in Austria. La verità è che noi urbanizzati d'Italia non siamo più abituati a certe atmosfere. I nostri polmoni soffrono le pene dell'inferno, senza le quotidiane inalazioni di polveri sottili. Puoi dunque immaginare quale choc respiratorio in mezzo a queste valli allucinanti, dove tutto concorre a costruire un microclima soffocante. Tutti questi pascoli, tutte queste foreste, tutti questi laghetti. Tutte queste vacche, tutto questo silenzio, tutti queste chiesette con il campanile appuntito con il temperamatite. Per noi del Giro, un'apocalisse. Se non fosse per la birra e per i wurstel, che intaccano con molta decisione almeno i valori del colesterolo, davvero il nostro equilibrio fisiologico rischierebbe di uscirne compromesso. Per fortuna, dobbiamo tenere duro soltanto 24 ore. Poi si tornerà in Italia, e l'incubo verde potrà dissolversi alle nostre spalle. Domani a Bergamo, domenica a Milano: tutti quanti, qui, non vediamo l'ora di respirare finalmente a pieni polmoni.
GIRO DI VELENI
Caro diario, una riga doverosa per Michele Scarponi, vincitore in terra austriaca dopo duecento chilometri di fuga. Bravo. Ma la vera storia è un'altra. Si spacca clamorosamente lo spogliatoio Gazzetta. La mina che fa saltare gli equilibri è questo Giro piallato che il patron Zomegnan ha voluto regalare ad Armstrong, ma che ogni giorno di più si sta rivelando un regalo ai grandi cronomen, come Menchov, come Leipheimer, come Sastre, come Rogers, a danno dei nostri montanari Basso e Di Luca. Ora: finchè la critica è tenuta in piedi dal sottoscritto, non c'è problema. Zom il patron bellamente se ne impippa. Ma nelle ultime ore c'è la grande novità: a criticarlo, neanche tanto velatamente, sono i suoi stessi colleghi, che scrivono sul suo stesso giornale. Pier Bergonzi, in prima pagina, nel commento post-Siusi: «Basso è il più forte in salita, ma non può fare la differenza su montagne dalle pendenze allo zucchero filato». Luca Gialanella, caporedattore del ciclismo, sempre post-Siusi: «Basso è soddisfatto, anche se sulla strada verso Roma non ci sono poi tante altre salite».
Caro diario, non so che dire. Io, a questo punto, do il mio benvenuto ai colleghi commentatori: non mi sento più così solo, dicendo che questo Giro centenario è nato senza cime mitiche e senza salite autorevoli. Quanto a Zom il patron, gli faccio invece un applauso caloroso e sincero: in una nazione morfologicamente aspra e tortuosa come l'Italia, piena zeppa di montagne, è riuscito a schivarle tutte. In un Giro senza epica, l'epico è lui.
GIRO DI VEDOVE
Lo confesso: sono diventato il primo ultrà di Armstrong, anche se in Austria lo zio d'America incassa altri 39. Lo chiamo zio perché il tenero pensionato che si sta valorosamente tirando in Giro è anziano parente del campione invincibile ammirato al Tour, anni fa. Se mi scopro a tifare spudoratamente per lui, è soltanto perché trovo vergognoso e avvilente il trattamento riservatogli dai suoi cantori della vigilia. Sembra due secoli fa, invece è solo due giorni fa: fino al penoso calvario sull'Alpe di Siusi, l'hanno dipinto come un drago. L'hanno titolato, idolatrato, gonfiato come un semidio. L'hanno visto prontissimo, fortissimo, spietatissimo. Posizione aerodinamica già in gondola, alla vigilia, durante la presentazione in piazza San Marco. Adesso, dopo la prima bancata, fingono già di non riconoscerlo. Ci spiegano con fastidio che «non si può pretendere, da un 38enne». Loro, che hanno preteso vincesse il Giro. Al diavolo. Forza Lance. Il disastro dello zio si porta dietro quanto meno un lato positivo: finalmente, restituisce la vita e il sorriso a Luigi Perna, il bravissimo collega della Gazzetta che da giorni e giorni era incaricato di seguirlo in ogni momento.
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