Sabrina Cottone
Gabriele Albertini è deciso a rendere giustizia alla memoria del commissario Luigi Calabresi e dellanarchico Pino Pinelli. Ha chiesto di ritoccare la targa a Pinelli, quella che è nata abusiva e ormai diventata parte del paesaggio di piazza Fontana, in modo da precisare che è «morto» e non è stato «ucciso». E alla fine del mandato, pensa di regalare alla città una targa che renda giustizia a Calabresi. Ha già parlato del progetto con la signora Gemma Capra, la vedova del commissario accusato di omicidio volontario dal tribunale, prosciolto dal giudice istruttore Gerardo DAmbrosio e però condannato a morte, freddato sulla porta di casa con sentenza eseguita il 17 maggio del 1972.
Il sindaco di Milano vuole una lapide che restituisca la verità sul commissario accusato ingiustamente di aver buttato giù dalla finestra della questura Pinelli, dopo che la lunga notte di interrogatori sulla strage di piazza Fontana si era conclusa senza esito, con Pinelli che rifiutava di parlare. Indro Montanelli, uno dei punti di riferimento intellettuali che Albertini cita più spesso, aveva proposto una corona per Calabresi e una per Pinelli, lanarchico «galantuomo» come il commissario che «era il più corretto funzionario della questura di Milano».
Così non è con spirito contro che Albertini intende rivedere la targa a Pinelli che da sempre è contestata con proteste, mozioni, dichiarazioni di intenti ed è ancora lì. Recita: «A Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico ucciso innocente nei locali della Questura di Milano il 15-12-1969. Gli studenti e i democratici milanesi».
Questa menzogna del Pinelli ucciso (con un inevitabile Calabresi assassino) è stata affissa irregolarmente nel 1976 da un gruppo di contestatori. Nel 92 una delibera del consiglio comunale decise di mantenere la scritta. Le volte in cui si è discusso di riaprire la questione non si contano.
Nel 2004 gli anarchici milanesi hanno organizzato una manifestazione distribuendo volantini: «Pinelli è stato assassinato, gli anarchici non archiviano». Adesso Albertini si è mosso per sostituire il participio «ucciso» con «morto». Forse per la verità è la volta buona.
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