Task force informatica per individuare i rapitori di Roveraro

Sono state interrogate una ventina di persone che lavorano col finanziere

da Milano
Oltre quaranta carabinieri, sei dei quali esperti di informatica, sono da 12 giorni sulle tracce di Gianmario Roveraro, scomparso mentre rientrava a casa. I militari hanno già fatto sfilare negli uffici di via Moscova una ventina di persone, altrettanti i vicini e commercianti sentiti sul posto. Ma per il momento nessuna traccia, nessun indizio, nessun segnale.
Roveraro, 70 anni, sposato con tre figli, fino a una decina di anni fa uno dei banchieri più importanti d’Italia, nel tardo pomeriggio di mercoledì 5 luglio lascia gli uffici della sua società immobiliare nei pressi del Duomo e stacca il telefono per non essere rintracciato. L’ultima «cella» allacciata dall’apparecchio è infatti in pieno centro. Deve recarsi in una sede dell'Opus Dei per un incontro spirituale e non vuole essere disturbato. Verso le 21.30, terminata la riunione, esce e per tornare a casa prende la metropolitana, verrà visto in treno da un conoscente. Quindi «sarebbe» arrivato alla fermata Pagano, due passi da casa: dove però non farà mai rientro. Nei giorni successivi chiama più volte casa, ufficio e commercialista. In particolare per chiedere 1 milione di euro, richiesta confermata con un fax partito da una società di Lugano. Poi più nulla.
I carabinieri mettono in campo una task force di 40 militari che convocano una ventina tra familiari e collaboratori. Vogliono sapere quali siano stati gli ultimi contatti dell’uomo, gli affari in corso, quelli che hanno impegnato maggiori risorse. E soprattutto se qualcuno aveva comportato grosse perdite finanziarie. Nel frattempo vengono sentiti vicini e commercianti. Se, come sembra, il sequestro è avvenuto sotto casa, è inevitabile che la «banda» abbia messo in atto un servizio di pedinamento e appostamento, che potrebbe essere stato notato da qualcuno. Niente da fare: nessuna auto sospetta, nessuna faccia insolita notata all’angolo del palazzo.
Ci sono poi telefonate e fax, ma questi sono un vero e proprio mistero. Nonostante siano ben sei gli esperti informatici dell’Arma al lavoro da quasi due settimane, non si riesce a rintracciare le linee usate dai sequestratori, che forse sono ricorsi a qualche particolare programma Internet.

A vuoto il viaggio a Lugano: la società da cui risulta partito il fax, sembra estranea alla vicenda. I banditi, che possono quindi contare su una sorta di «mago delle telecomunicazioni», sarebbero dunque riusciti a inserirsi nella linea telefonica della società svizzera.

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