Milano Il calcio italiano visto da lontano assomiglia ancora troppo a quello che Fabio Capello solo un anno fa aveva criticato e poco a quello che potrebbe e dovrebbe essere. Partendo dalle scorie di Italia-Serbia per poi abbracciare un discorso più generale, il ct inglese, ieri a Milano per la presentazione del libro «Passo doppio» dell'amico Luigi Colombo in cui si ricordano i momenti romantici del calcio che fu e che non è più, ha lanciato un nuovo allarme. «Quello che si è visto e vissuto durante Italia-Serbia è stato tristissimo, cose del genere allontanano le persone dal calcio» il Capello pensiero, nato non certo dopo i fattacci del Ferraris ma da una radicata convinzione che lo scorso ottobre lo portò a dichiarare: «Il calcio italiano è in mano agli ultras». Parole che fecero scandalo, eppure in tanti minimizzarono la questione. Capello invece ne è ancora convinto: «Da tempo si dice di vietare l'ingresso allo stadio di petardi e mortaretti, ma poi non cambia niente. Bisogna prendere delle misure. Non è mio compito stabilire quali decisioni vadano prese, ma qualcosa si deve fare per salvare il calcio italiano».
A dire il vero, il ct inglese ha lanciato qualche idea. Più che proposte alle istituzioni sono suggerimenti di una persona innamorata del proprio Paese e dello sport: «Di stadi non parlo. Ma a Udine avevano proposto di eliminare le reti tra spettatori e campo: sarebbe una bella cosa. Per come la penso io, trovarsi dietro delle reti quasi ti autorizza a dire e fare quello che si vuole. Togliendole invece si responsabilizzerebbero i tifosi». Poi un consiglio alle trasmissioni sportive in televisione: «Tornino a parlare di tecnica, senza urlare. Cosa avrei fatto al posto dei telecronisti Rai durante Italia-Serbia? È difficile trovare le parole in quei momenti, io lo so perché commentai l'Heysel e l'unica cosa che ti viene in aiuto sono le immagini». La preoccupazione più grande di Capello comunque è che questa situazione di caos diventi irreversibile, portando il calcio al collasso: «Gli stadi sono vuoti, spesso in mano agli ultras. E ad assistere alle partite vanno pochi giovani, poche famiglie».
Naturale, quasi crudele, il paragone tra il Paese in cui è nato e quello che oggi gli paga lo stipendio. «Ha ragione Blatter, in Inghilterra fatti come quelli di Genova non sarebbero successi. Hanno eliminato il problema degli hooligans, è un dato di fatto». E non finisce qui: «Gli inglesi hanno una cultura calcistica profonda. I giocatori rispettano il pubblico, i tifosi durante la partita si provocano con i cori ma al novantesimo finisce lì. Filosofia condivisa anche dal mondo che circola attorno al pallone: tanti tabloid trattano di calcio, ma poche televisioni. In Italia si è sempre in lotta con gli arbitri, in Inghilterra quasi mai si fa uso della moviola». Certo, neanche in Premier League è tutto rose e fiori: «La stampa inglese se la prende con me? Mi criticano tanto come mi criticavano qui quando non vincevo. In certe cose tutto il mondo è paese» anche se un piccolo sassolino dalla scarpa Capello ha provato a toglierselo proprio durante la presentazione del libro quando ha detto «col tempo sono peggiorato, non vinco più tanto
» dopo che Colombo ricordava come Brera avesse capito subito il futuro radioso del tecnico friulano.
È rimasto anche tempo per parlare di futuro: «Sono troppo vecchio, quando finirò il mio incarico con la Federazione inglese mi ritirerò» ha detto Capello. In pratica ha confermato una volontà già espressa in passato unita alla speranza di tornare a vedere anche in Italia il calcio che sogna prima del ritiro dai campi da gioco.
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