RomaUn affare per tutti. Tranne che per i romani. Il giro di tangenti sulle licenze dei taxi capitolini scoperto dallEspresso e raccontato sul numero in edicola oggi è una triste storia di bustarelle, di cialtroneria, di nepotismo che getta una lunga ombra sugli ultimi atti dellera Veltroni. E su una categoria di lavoratori che in un modo o nellaltro è sempre nellocchio del ciclone. Perché, dai racconti resi da alcuni tassisti al settimanale, lassegnazione di 1700 nuove licenze, atto di una presunta liberalizzazione del settore decisa dalla giunta di centrosinistra pochi mesi prima delle elezioni dopo un lungo braccio di ferro con la categoria, sarebbe finita come in una commedia allitaliana degli anni Cinquanta: a tarallucci e vino.
Vino di lusso, si badi: Château Margaux o giù di lì. Perché le mazzette richieste agli aspiranti conducenti di auto bianche dai presidenti delle cooperative per scalare le fatidiche graduatorie erano roba a quattro zeri: 40mila euro era la tariffa per sperare di acquisire un lavoro sicuro. Unestorsione? Certamente, ma anche un affare. Per chi i soldi li pretendeva, naturalmente; e per chi li versava. Perché a Roma una licenza vale - al fixing attuale - circa 150mila euro. Una sorta di liquidazione per il titolare. A rimetterci è stato solo il Campidoglio: che avrebbe potuto mettere in vendita le licenze, come ha fatto lamministrazione comunale di Bologna, a 150mila euro luna. Incassando 255 milioni per far cassa oppure per risarcire i vecchi tassisti dellaumentata concorrenza e della temporanea «svalutazione» delle licenze. E garantendo la trasparenza delloperazione.
I racconti riportati dallEspresso sono impressionanti per la tracotanza di chi utilizza un servizio pubblico come fosse cosa sua. Cè il tassista che paga la tangente al presidente della sua cooperativa di lavoro, ma avendo solo 20mila dei 40mila euro pretesi si trova strozzato dagli interessi del concussore, che mostra una certa dimestichezza anche nel ramo usura. Cè quello che, dopo anni di sostituzioni, vede finalmente vicino il traguardo della licenza stabile ma si vede sempre scavalcato dagli aspiranti colleghi in una graduatoria mutevole come il tempo in una giornata di marzo e, per non perdere il treno (anzi: il taxi) della vita, decide di pagare la tariffa fissa di 40mila euro, blindando finalmente la sua posizione.
A chi finivano questi soldi? I presidenti delle cooperative, che a Roma sono decine, erano i pesci piccoli dellorganizzazione. Il grosso finiva probabilmente a funzionari pubblici. Gli stessi che hanno inzeppato la graduatoria finale di parenti, dipendenti comunali, prestanome.
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