Teatro d’autore con il Nobel Elfriede Jelinek

Laura Novelli

Il festival «Quartieri dell’Arte» compie dieci anni. E lo fa con un’edizione speciale dove, accanto a un cartellone di forte richiamo nazionale e internazionale, sono molte le novità significative: l’acquisizione di nuovi spazi «storici» come il Palazzo dei Priori di Viterbo (che va ad aggiungersi ai tanti luoghi della provincia viterbese già interessati dalla vetrina), una sezione romana organizzata con l’appoggio del teatro Eliseo, una costola milanese nata in sinergia con il Centro Outis e scambi culturali con prestigiose istituzioni straniere pensati per consolidare sempre più quel fruttuoso cammino di crescita e di confronto iniziato anni fa. Tutte ragioni di grande soddisfazione per i due direttori artistici della rassegna, Alberto Bassetti e Gian Maria Cervo, il quale ribadisce la volontà «di investire sempre più nel profilo laboratoriale dell’iniziativa, nella riflessione storica e, soprattutto, nei rapporti con realtà già attive sul fronte della nuova drammaturgia».
Tra le presenze italiane, segnaliamo il debutto assoluto de La conversazione, primo testo teatrale della sceneggiatrice Linda Ferri (ha firmato pellicole importanti quali La stanza del figlio di Nanni Moretti e Anche libero va bene di Kim Rossi Stuart) che racconta il dialogo tra una figlia trentacinquenne e il padre morto. «Questo testo - spiega l’autrice - nasce da un’esperienza insieme strana e comune a molti noi: la vicinanza con persone che abbiamo amato, e che sono scomparse». Un materiale intimo e sommerso dal quale scaturisce qui una conversazione che evita i pericoli della nostalgia per entrare, piuttosto, nell'attualità, nella «tensione drammatica del presente e della vita». È al suo battesimo ufficiale anche il nuovo lavoro di Cervo, L’uomo più crudele, una sorta di Orlando alla Woolf dove favola, storia, vampirismo, viaggi nel tempo, mistero, suspense e raffinato simbolismo si mescolano, disegnando una mappa di luoghi, date e vicende del tutto inedita (dall’Ungheria del ’600 alla Valacchia del ’400 fino alla Bloomsbury londinese del ’900). I due titoli - diretti entrambi da Carlo Fineschi - vengono assemblati in un unicum di forte impatto scenico che apre il festival, sabato sera, a Viterbo (Palazzo dei Priori, ore 19.30), per essere replicato all’Eliseo da mercoledì 20 a venerdì 22. È invece una gradita ripresa quella che riguarda La gabbia di Bassetti, un testo che vinse il Premio Idi nel ’95 (ne ricordiamo la lettura di Cherif con Luigi Mezzanotte e Carlo Di Maio interpreti) nel quale l’autore romano scandaglia le reazioni emotive di un uomo rimasto bloccato dentro un ascensore a causa di un black-out e «visitato» dall’ambigua presenza di un altro uomo che conosce ogni angolo più nascosto della sua anima (in scena ad Acquapendente martedì 19).
Altrettanto di richiamo alcuni nomi che puntellano la ricchissima sezione internazionale. Primo fra tutti quello del Premio Nobel austriaco Elfriede Jelinek: il suo corrosivo Jackie, prodotto dal Burgtheater di Vienna e interpretato da Petra Morzè, è previsto domenica alle 19.30 al Palazzo dei Priori (con replica lunedì sera all'Eliseo) e si preannuncia come uno degli allestimenti più affascinanti dell'intera vetrina. Vetrina dove figura pure il noto regista e sceneggiatore britannico Malcolm McKay (è stato il maestro di mostri sacri come, ad esempio, Kenneth Branagh), di cui vedremo Il Tempio del Popolo (9 e 10 ottobre a Caprarola).

Arriva infine dagli Stati Uniti Victor Lodato, firma di punta della giovane drammaturgia americana che presenta, in prima mondiale e su regia di Marcello Cotugno, Il pane dell’inverno: un testo mai rappresentato in patria (benché lodato persino dal New York Times) che descrive una famiglia e le tensioni conflittuali che la attraversano aprendo, nel contempo, uno scenario apocalittico a sfondo ecologico e ambientale (aria tossica, piogge acide, oscuramento solare) dove si annida il senso più profondo della vicenda: «Abbiamo spesso la sensazione di essere soli - spiega l'autore - anche quando siamo insieme. In un clima del genere ci dimentichiamo del contatto. Il contatto fisico, la vera intimità diventa quasi un territorio straniero nel quale vaghiamo incerti».

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