
Quando nel corso di un'esecuzione si ricorda la superiorità di precedenti esecuzioni, qualcosa non ha funzionato. Così sette anni fa quando il Teatro alla Scala riprese Francesca di Rimini, tragedia di Gabriele d'Annunzio, musicata da Riccardo Zandonai, in un allestimento presto dimenticato. Al contrario l'inaugurazione della stagione del Regio di Torino ha destato autentica emozione. Merito in primis della direzione piena di slancio e attenta a esaltare uno strumentale prezioso di Andrea Battistoni, molto apprezzato dal pubblico. Altro elemento non meno essenziale, la solidità dei quattro interpreti principali: Barno Ismatulleva (Francesca), Roberto Alagna (Paolo, nella foto), George Gagnidze (Gianciotto), Matteo Mezzaro (Malatestino). Hanno reso più credibile la truce storia ambientata dal regista Andrea Bernard in una specie di casa di bambola ibseniana ante litteram. Se l'obiettivo era fare piazza pulita del medioevismo estetizzante dannunziano, la missione era riuscita.
Restavano però meno credibili le ferocie dell'evo medio (ad esempio il duetto fra i fratelli con la testa mozzata del nemico), che per alcuni spettatori erano maleodoranti espressioni del verismo; al contrario per chi vi scrive sono inscritte in un suggestivo clima post-impressionista a tinte iper-espressive. Un grazie per aver riportato in vita la speciale malinconia adriatica della miglior opera di Zandonai.