"Lucia di Lammermoor ci ha rese più libere". Alla Scala il soprano Lisette Oropesa

Il soprano statunitense nell’opera di Donizetti dal 13 aprile alla Scala: "Sono anche un po’ bergamasca..."

"Lucia di Lammermoor ci ha rese più libere". Alla Scala il soprano Lisette Oropesa

Dal 13 aprile, alla Scala va in scena l’opera di Donizetti Lucia di Lammermoor, in realtà prevista per l’apertura di stagione del 2020, ma spazzata via dal Covid. Dirige Riccardo Chailly, e Yannis Kokkos firma regia, scene e costumi. L’innamorato Edgardo è Juan Diego Flórez, mentre nel ruolo del titolo c’è il soprano Lisette Oropesa, americana con radici cubane, è il soprano del momento. Il 7 dicembre 2020 era alla Scala per la parata di stelle della lirica, e fra i pesi massimi del settore lei brillò cantando la scena della pazzia di Lucia (in abito Armani).

Oropesa, siamo a 50 chilometri da Bergamo, la città del suo musicista del cuore: Donizetti. Le capita di pensarci?
«Parlavo proprio di questo con Flórez, che tra l’altro ha abitato fra Milano e Bergamo. Eh sì, fa un certo effetto. Ogni volta che supero la soglia di questo teatro sento una forte emozione sapendo che Donizetti vi tenne a battesimo alcune opere».

È stata al Teatro Donizetti?
«Mi avevano invitato al Festival ma c’erano difficoltà di date. Vado però nella bergamasca con mio marito per fare trekking, siamo entrambi appassionati di montagna».

Perché ora dove abita?
«Sempre nella Louisiana, però stiamo comprando casa a Madrid, lavorando così tanto in Europa è ormai una necessità avere una casa dove riposarsi tra una recita e l’altra senza dover attraversare l’Oceano».

Torniamo a Lucia, innamorata di Edgardo però costretta a sposare Arturo che lei pugnalerà il dì delle nozze. Alla fine impazzisce. Oggi le donne amano liberamente, o almeno questo accade nei Paesi dove si fa l’opera. Che cosa ha da dirci, dunque, un titolo come questo?
«Dice a noi donne che siamo libere anche grazie a un passato fatto di tante Lucia, di donne che si sono ribellate alle imposizioni pur compiendo atti estremi come l’omicidio».

Situazioni e parole estreme mal si conciliano con la cancel culture dilagante. Quale opinione ha sul tema?
«Se cancelliamo ciò che è sconveniente non impareremo nulla dalla storia. Non si può annullare il passato, semmai va conosciuto per evitare certi errori».


È arcinota la storia di lei che perde 40 chili dopo che il Met le spiega che con quel fisico può fare ben pochi ruoli. Anziché gridare al body shaming, risolve il problema alla radice e diventa un fuscello. Brava.
«Non solo il Met, anche i miei genitori, gli amici, i medici, tutti mi consigliavano di dimagrire perché dati i trascorsi di famiglia avrei avuto problemi di diabete e correlati. Se un cantante ha problemi di salute la prima a risentirne è la voce. Altro punto: siamo in tantissimi soprani leggeri quindi se in 100 concorriamo per lo stesso ruolo è ovvio che a parità di abilità verrà selezionato chi sta meglio sul palcoscenico. Non è ossessione per la bellezza ma ricerca della credibilità del personaggio. Ed è sempre stato così, la prima cantante della Traviata non convinse perché era troppo in carne. Guardiamo ai cantanti più famosi di oggi: sono tutti belli, e questo spiega tutto».

Suo marito è geloso?
«Mio marito è bellissimo. È sempre con me, segue le prove, siamo innamorati».

Se un compositore volesse dedicarle un’opera e lei potesse scegliere il soggetto: che cosa proporrebbe?
«Di questi tempi si ride molto poco a teatro, quindi mi piacerebbe una storia leggera e divertente. Le opere contemporanee sono centrate su politica e problemi d’attualità, e così si va a teatro per “vedere” le notizie. È un bene che il teatro faccia pensare e discutere, però i melodrammi di Mozart erano profondi senza per questo mancare di momenti di levità».

La pandemia pare aver infierito più sui teatri americani che su quelli d’Europa. È così?
«Purtroppo sì. Il pubblico americano sta rientrando lentamente a teatro, che dunque fatica moltissimo dovendosi reggere su botteghino e sponsor. Negli Usa, l’opera sta attraversando una fase difficile. Il sovrintendente del Met, Peter Gelb, in un’intervista al New York Times ha dichiarato che gli spettatori sono stanchi dei soliti titoli di repertorio, reclamano novità. Per questo proporrà sempre più titoli contemporanei. Vedremo».

Che cosa pensa dei teatri che respingono gli artisti russi a causa della loro nazionalità?
«È una cosa molto triste. Però a loro volta i teatri sentono il dovere di rispecchiare concretamente la linea politica sposata dal proprio Stato. Purtroppo viviamo in un momento storico molto difficile».

Chiudiamo con la Lucia di Lammermoor che vedremo alla Scala.

È ambientata nel ’500 come vuole il libretto o attualizzata?
«L’epoca non è evidente, anche se i costumi sono della Hollywood anni Trenta-Quaranta. Kokkos ha ricavato una scena molto minimalista, il palcoscenico è piuttosto sgombro. Il focus è su noi personaggi e sulla nostra disperazione».

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