Scienze e Tecnologia

La rete di domani: parla Ruben Razzante

In questa intervista, il professor Razzante spiega come il Covid abbia cambiato le nostre abitudini e quale sarà il domani del digitale

La rete di domani: parla Ruben Razzante

Per quasi due mesi, l'anno scorso, il Covid-19 ha paralizzato il mondo intero. Tra marzo e aprile le scuole sono state chiuse e la didattica a distanza ha sostituito quella in presenza. I dipendenti di molte aziende sono stati messi in smartwoking e tutti ci siamo rinchiusi in casa, collegati a vari device. Tutto, o quasi, per due mesi è passato dalla rete, che è diventata il perno della nostra società. Per capire meglio cosa sta accadendo, abbiamo deciso di parlare con Ruben Razzante, docente dell'università Cattolica e curatore del libro La rete che vorrei. Per un servizio di cittadini e imprese dopo il Covid-19 (FrancoAngeli).

Professore, come ha inciso il Covid sull'uso della rete?

Il Covid ha accelerato la digitalizzazione di tantissime attività in ogni ambito: pensiamo per esempio alla didattica a distanza, al lavoro da remoto, all'e-commerce e ai pagamenti digitali. Evidentemente c'è stata una trasformazione imprevista, dovuta a una tragedia, che però ora è diventata irreversibile. Credo che in seguito al Covid-19 siano cambiate le abitudini di milioni di italiani, che non avevano mai messo piede in rete, e che oggi hanno scoperto le potenzialità del web e la sua vera utilità. Questo comporta che, quando finirà la pandemia, non si tornerà più al mondo di prima, ma a un mix di presenza e virtualità che bisognerà dominare.

Il mondo è sempre più connesso alla rete. I vantaggi sono molti, ma esistono anche dei rischi...

I rischi sono innumerevoli, ma sono bilanciati dalle opportunità. Basti pensare ai dati sulla cybersecurity: se da una parte è vero che sono aumentati esponenzialmente i casi di reati informatici, dall'altra è anche vero che c'è stato un incremento degli investimenti delle aziende nella cybersecurity. I nostri dati, infatti, rappresentano la ricchezza più preziosa che abbiamo perché, se perdiamo il controllo su di loro, perdiamo anche la nostra sovranità digitale. È chiaro che la difesa dei nostri dati richieda uno sforzo maggiore da parte dei legislatori e una maggior responsabilizzazione delle piattaforme affinché siano soggette a più controlli. La nostra sicurezza in rete dipende anche da noi e dalla nostra accortezza nel diffondere dati sensibili, foto e opinioni che possono essere utilizzate per profilazioni a scopo commerciale o, nella peggiore delle ipotesi, a scopo di spionaggio vero e proprio.

Facebook e Google rappresentano delle grandissime opportunità. A volte, però, sembrano agire anche in modo politico, come nel caso del banner che, fino a pochi mesi fa, indicava che l'ipotesi di fuga dal laboratorio di Wuhan fosse una fake news. Non appena ne ha parlato Biden, invece, il banner è stato rimosso...

Il rischio c'è ed è concreto. Nel caso di Trump, per esempio, ci sono state delle forzature. La neutralità di queste piattaforme è in discussione: dovrebbero infatti essere interessate solamente a fornire dei servizi agli utenti (e possibilmente a fare degli utili) enon dovrebbero entrare a gamba tesa sul terreno dell'esercizio della libertà di espressione. In caso contrario, si dovrebbe cominciare a riflettere seriamente sulla loro natura giuridica: se mettono a disposizione uno spazio virtuale dove gli utenti possono esercitare i loro diritti non devono poi interferire nella modalità di esercizio dei diritti. Se invece entrano nel merito dei contenuti, allora si entra in una responsabilità editoriale simile a quella sui quotidiani, dove c'è una valutazione dei contenuti. Bisogna chiarire la natura giurdica delle piattaforme.

Le fake news fanno parte della storia dell'uomo. Come mai se ne parla così tanto oggi?

Ho affrontato questo tema sia in un libro del 2017 sia con una task force con lo scorso governo. La rete ha contribuito all'amplificazione del problema perché è evidente che nel web le fake news rischiano di diventare virali e, quindi, generare disinformazione. La rete consente di far circolare più velocemente una quantità infinita di informazioni. C'è poi anche un problema della regolamentazione e dell'autoregolamentazione della rete. Ci sono moltissimi leoni da tastiera che scrivono quello che vogliono senza esser confutati da nessuno ed è necessario avere dei codici di autoregolamentazione per far sì che ciascuno si autodisciplini sui social. C'è poi il tema sovranazionale che aveva sollevato anni fa il professor Pitruzzella: creare una rete di autorità europee che si coordino tra loro per stabilire dei prametri comuni e degli standard condivisi su come selezionare le notizie ed evidenziare maggiormente quelli riconducibili a fonti istituzionali. Non un lavoro di censura ma di autoregolamentazione e sensibilizzazione.

La Dad rappresenta uno svantaggio per gli studenti o anche una opportunità?

Due considerazioni: la Dad è stata preziosa altrimenti il mondo dell'istruzione si sarebbe fermato. Ma la Dad non può essere considerata la semplice traslazione della didattica in presenza in quella virtuale. La sfida è quella di rendere la Dad complementare ma non sostituiva della didattica in presenza. In casi limitati si può consentire agli studenti di seguire corsi in Dad, ma non può essere sostitutiva perché c'è una dimensione sociale che non si può cancellare. Dobbiamo pianificare una didattica mista dove quella in presenza sia prevalente e la Dad sia uno strumento accessorio in grado di arricchire la didattica in presenza.

Com'è la rete che vorrebbe?

Io vorrei che fosse un luogo più inclusivo e solidale. La rete è stata uno strumento di condivisione delle paure legate al Covid e ora deve diventare il motore della ripartenza. Non deve sostituirsi alla dimensione fisica ma la deve potenziare. Quando parlo di nuovo umanesimo digitale parlo di questo: una rete al servizio di cittadini e imprese dove la gente si senta più sicura e tutelata. E dove si possano sviluppare, forme virtuose di interazione tra istituzioni e cittadini per quanto riguarda il mondo privato.

Un luogo più sicuro dove far crescere una nuova cultura del digitale.

Rete che vorrei

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