Tedeschi e inglesi uniti da sandali e bidet

Dal look di Camilla alla furbata in metrò di miss Blair, all’avarizia

Tony Damascelli

Adesso tocca a noi. Non dico la nazionale di calcio che gioca la finale stasera a Berlino contro la Francia. Quella è roba piccola, facile. Adesso tocca a noi, italiani della stampa e non soltanto, rispondere in lingua madre a tedeschi e inglesi. Poveretti, vanno capiti, sognavano di alzare la coppa e invece sono lì a tagliare l'erba del garden e a pelare kartoffeln. Cornuti e mazziati, le hanno buscate da portoghesi e italiani, il massimo del minimo. L'hanno buttata sull'insulto, cosa che riesce loro magistralmente, dai tempi in cui l'esercito romano provò a portare loro un'ipotesi di civiltà, opere idrauliche, strade, fortificazioni, varie ed eventuali. Alcuni millenni dopo il giochetto è passato dalle parti della Bild, di Der Spiegel, del Die Zeit, per spandere contro l'Italia il loro prodotto. A qualche giro di distacco dalle sturmtruppen di frau Merkel ecco i gentlemen dell'Independent che sotto il titolo «Forza Italia or Vive la France?» mettono in campo alcune belle gioie british per discutere vizi e virtù nostre e dei francesi, nei vari campi. Boyd Tonkin ha preso in esame la letteratura, Simon Calder si è occupato della Nazione in quanto tale, Geoffrey McNab del cinema, Christopher Hirst del cibo, Sean O’Grady delle auto, Stephen Bayley dell’architettura e del design, Mary Dejevsky della politica, Claudia Winkleman degli Uomini, John Walsh delle Donne, Michael Church della musica, Susannah Frankel della moda. Secondo questo gruppo di intellettuali (non so bene che cosa sia ma così dicesi) la nostra è una sconfitta larga. Vive la France dunque, già questo è uno scoop per gli inglesi che definiscono «frogs» i franzosi medesimi perché mangiano appunto le rane.
Perdere ci può anche stare, dipende dai gusti, dai gesti e dal numero di bicchieri presenti sulle scrivanie degli scrittori. Ma è l’argomentare, elegante, delicato, soave quasi, che stimola la replica. Per i nostri cari tedeschi gli italiani finalisti sono uguali da sempre: mafiosi, spaghettari, mandolinari, parassiti, pigri, anche unti. Secondo gli studiosi inglesi di cui sopra è difficile pensare alle donne italiane senza immaginare chili di mascara e di rossetto, acri di riccioli corvini, catene di montagne di seni. È come una porzione di lasagne al forno a Napoli per pranzo. Gli uomini italiani non provano imbarazzo a legarsi intorno alla vita un maglioncino color limone e gridano indiscriminatamente a ogni donna «ciao bella». La politica ha in Berlusconi l’incarnazione della «corrotta esuberanza» ma l’elezione di Prodi suggerisce «una nuova disposizione verso la sobrietà». Se il cinema è ai livelli de La vita è bella, si capisce che ci deve essere qualcosa di sbagliato. Bocciati i vini, le Fiat sono capricciose e l’acronimo starebbe per «Fix it again, Tony», tradotto in «aggiustala ancora Tony».
Tirato in ballo, per il nome e la Patria, reagisco. Vorrei segnalare la buona abitudine inglese di non avere un bidet nella stanza da bagno. La regina Vittoria resiste, il popolo respinge il semicupio. L’inglese è sempre adorante ma anche odoroso. Proseguo con il puzzo di latrina misto a carbone e tabacco che sfuma dalle uscite del metrò, dei pub, da un qualunque ritrovo very english; che dire del colore tipo maialino, dunque rosaceo, della pelle dei sudditi di Elisabetta che passano dall’abbronzatura in Hyde Park alla sbronza in Piccadilly circus. Del cibo made in England si può scrivere un asterisco, non esiste, quando appare ha colori, sapori inquietanti e provoca dolori specifici, dal che si capisce la sinfonia di rutti che avvolge la bella cena, la famosa zuppa inglese.
Vorrei aggiungere qualche dettaglio sui gusti sessuali perversi di alcuni politici e vip, sull’uso della frusta o bacchetta a scuola, sulla sobria eleganza di Camilla Parker in Windsor o sull’avvocatessa Cheryl Blair che ha viaggiato in metrò senza aver pagato il biglietto. Su Filippo e Carlo abbiamo già dato, su Elton John che ha appena dato in pubblico dello «stronzo» a Eriksson, anche.
Perché dimenticare i cari villeggianti tedeschi? I loro sandali raffinati, i calzini molli alla caviglia, il vociare sommesso, il piatto di spaghetti ordinato però con richiesta di tre forchette (una a testa per commensale, risparmiaren über alles).

Tralascio il passato uncinato, si possono notare, oltre ai sandali in riviera, alcuni scandali in cancellierato.
Questa forse è una vendetta. Non è la verità. Non tutta. C’è dell’altro. Molto altro. Al prossimo mondiale. Bye bye, Aufwiedersehen. E ovviamente buona partita. La nostra.

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