«Teheran è un pericolo» Israele in allarme studia la rappresaglia

Il ministro della Difesa Mofaz: con il presidente Ahmadinejad la diplomazia non basta. Stiamo valutando soluzioni alternative

Gian Micalessin

Questa volta Israele potrebbe non accontentarsi d’una risposta a livello diplomatico. Le parole del presidente iraniano Ahmadinejad rischiano, questa volta, d’innescare una risposta assai più concreta. A farlo capire, senza troppi giri di parole è il ministro della difesa israeliano Shaul Mofaz secondo il quale Israele deve tenersi pronto a scegliere strade anche diverse da quella diplomatica per reagire alla minaccia nucleare iraniana.
La durissima dichiarazione di Mofaz arriva a 24 ore dall’intervento del presidente Ahmadinejad che - durante una conferenza tenutasi alla Mecca - ha prima ridimensionato l’entità dell’olocausto e ha poi invitato gli Stati europei che appoggiano i sionisti «a concedere alcune loro province affinché possano traslocare il loro Stato in Europa». Intervenendo sull’argomento durante una visita ad un mercato alla periferia di Tel Aviv Mofaz ha definito Ahmadinejad come un uomo «pieno di odio per Israele». «La combinazione di questo odio estremo e le capacità nucleari del paese rappresentano una sicura minaccia per lo stato d’Israele e per i paesi occidentali» - ha detto il ministro della Difesa. Valutando una possibile reazione alle parole del presidente iraniano Mofaz ha aggiunto che - per quanto la mossa giusta sia quella di muoversi sul terreno della diplomazia - Israele «deve anche tenersi pronto ad altre soluzioni». L’idea di un blitz o di un bombardamento preventivo, simile a quello ordinato nel giugno 1981 da Menachem Begin per distruggere la centrale nucleare irachena di Osirak, incomincia insomma a venir discusso apertamente. E il direttore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia atomica, l’egiziano Mohammed El Baradei incomincia a preoccuparsi. «Non penso esista una soluzione militare alla questione», ha detto ieri da Oslo poco prima di venir insignito del Nobel per la pace conferitogli quest’anno. «Una soluzione militare sarebbe completamente controproducente, ma il sul riarmo nucleare dell’Iran il mondo sta perdendo la pazienza», ha aggiunto El Baradei. I suoi inviti a percorrere la via della diplomazia e della cooperazione non sembrano però convincere il ministro degli esteri israeliano Sylvan Shalom. Le sue dichiarazioni non sono prese di posizione avventate o commenti passeggeri, sono invece parte di un pensiero sistematico che punta alla «cancellazione dello stato d’Israele» - sostiene Shalom facendo riferimento anche al discorso dello scorso ottobre quando Ahmadinejad auspicò la cancellazione dalla carta geografica dello Stato d’Israele.
Da questo punto di vista secondo Shalom le minacce del presidente iraniano vanno prese molto più sul serio delle sparate di Muhammar Gheddafi, il dittatore libico considerato fino a qualche anno fa il più inveterato e implacabile nemico d’Israele in medio Oriente. «Non mi sognerei mai di prenderle alla leggera - ha detto Shalom riferendosi alle provocazioni del presidente iraniano - quelle dichiarazioni rivelano un modo di pensare che dimostra chiaramente quanto quell’uomo sia pericoloso». Le parole di Ahmadinejad sono, inoltre, solo una parte del problema. Secondo Shalom la vera preoccupazione sono gli armamenti a disposizione della repubblica islamica. E non solo gli ordigni atomici che Teheran potrebbe riuscire ad assemblare in pochi anni se continuerà la propria corsa verso il nucleare.

Per il ministro degli esteri una minaccia ben più immediata arriva dal continuo sviluppo dell’arsenale missilistico. «Lo sviluppo di quel settore - ha detto Shalom - li ha portati a realizzare missili già in grado di raggiungere Israele e le capitali europee».

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